sabato, dicembre 15, 2007

Barça, giù le mutande

Al sottoscritto frega meno di niente del calcio, e cosa fosse il Barça l'ha scoperto tre minuti fa, ma cionondimeno è stra-sicuro di conoscere perfettamente i suoi dirigenti: fanno parte di quel peloso, unto, inutile, dannoso, patetico, irritante grumo di individui che pensano che calarsi le mutande di fronte a chi "di mutande se ne intende" li faccia sentire meno sporchi.
Ignobili ipocriti: perché non fanno una squadra di 5 uomini, 5 donne ed il portiere transessuale, così non urtano nessuna sensibilità neanche in quel senso?

mercoledì, dicembre 05, 2007

Perché Beppe Grillo non è credibile

«Nell'ottobre 2005 l'edizione europea del settimanale statunitense Time lo ha eletto tra gli eroi europei dell'anno per gli sforzi e il coraggio nel campo dell'informazione pubblica». (da Wikipedia)

Ci permettiamo di dissentire vigorosamente. Beppe Grillo non fa "informazione pubblica", né tantomeno è "coraggioso". Beppe Grillo è un comico, un uomo di spettacolo che ha trovato la sua vena in quel che tutti vediamo e conosciamo.
Per carità, niente da eccepire. Se non fosse che l'uomo viene idolatrato regolarmente da un'enorme fetta di popolazione ed elevato a Vate delle genti, velato e nobilitato da quell'antipolitica sapientemente inventata il giorno che Prodi è sceso sotto il 40% nei gradimenti.
Idolatrato, dicevamo, da genti che, notoriamente, non sono di bocca buona dal momento che si bevono acriticamente le crociate a tempo del Beppone nazionale, come quella memorabile contro Internet, quella a favore dell'idrogeno o quella, buona ultima, per la legalità nel Parlamento. Un luogo comune molto duro a morire è quello che vuole Grillo vittima del sistema, un novello Giovanni Battista urlatore nel deserto allontanato dalle telecamere che contano perché troppo scomodo. Ma sappiamo che la realtà è un'altra, Grillo ha volutamente abbandonato le TV pubbliche e private nazionali per ripiegare sul format teatrale in tour prima e su quello online dopo (una volta smaltita la crociata anti-Internet), format che ha reputato essere (a ragione) estremamente più produttivi per i suoi fini di lucro. L'immagine del combattente braccato evoca figure eroiche d'altri tempi, fa presa sul popolo-platea ed ha un ritorno in dobloni certamente superiore a quello di un cabarettista da Zelig qualsiasi. Basta guardare il suo compagno Benigni, che non è certo l'ultimo arrivato, cosa s'è dovuto inventare per campare, un bel mix di parolacce e Divina Commedia da propinare in prima serata, rincorrendo Celentano e "sua sorella". In effetti, a ben vedere, le parolacce tirano sempre.

Dicevamo che Beppe Grillo non fa informazione. In effetti, fa disinformazione dal momento che il dato veicolato con lo spettacolo/blog/v-day viene imposto come Verità assoluta. Cosa che, ovviamente, non è e non può essere, salvo qualche raro e statisticamente accettabile caso.
Ma non sono solo l'attacco strumentale o la bufala spacciata come verità a configurare la fattispecie di disinformazione, nell'operato di Beppe Grillo: anche - e soprattutto - sono i silenzi a mostrare la parzialità del comico genovese il quale del resto, come è probabile e comprensibile, avrà pure qualcuno o qualcosa cui dover rispondere.
Ed ecco che, dopo aver martellato per mesi l'opinione pubblica con la crociata (ripetiamo: sacrosanta, nel merito) contro i condannati in via definitiva che siedono in Parlamento, e dopo l'otto settembre del "vaffanculo-day" (notevole dimostrazione di "educazione civica"), Grillo tace completamente (il link porta ai risultati della ricerca sul blog del comico) circa il più grave episodio di sopruso politico-istituzionale degli ultimi anni: la cacciata di Angelo Maria Petroni dal Consiglio di Amministrazione della RAI ad opera di Tommaso Padoa Schioppa, ministro dell'Economia del governo Prodi, in combutta con il medesimo Presidente del Consiglio e con il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, ed il conseguente scavalcamento secco della Commissione di Vigilanza RAI.

La storia è nota, ma vale la pena scorrerla velocemente nei suoi momenti salienti:

  • 11 maggio 2007 - Il Ministro dell'Economia e delle Finanze, per mezzo di una lettera vergata dal direttore generale del ministero Vittorio Grilli ed indirizzata a Romano Prodi, dice sostanzialmente che la RAI è in "una situazione di stallo" e che la colpa è del consigliere Petroni, rappresentante del Ministero delle Finanze (primo azionista RAI) ma in quota all'attuale opposizione (fu infatti nominato nel 2005 dall'allora ministro Siniscalco). L'ironia della grottesca situazione nella quale si trova Petroni, nel ruolo di ambasciatore presso il CdA del suo medesimo siluramento, sfugge ai media.
  • 12 maggio - Romano Prodi si affretta ad allinearsi alla posizione di Padoa Schioppa: «La RAI non era più governabile, non potevamo lasciarla allo sbando», sostenendo la tesi delle responsabilità tutte in capo a Petroni. Scoppia lo scandalo, l'opposizione grida al golpe e scatta il ricorso al TAR del Lazio da parte del consigliere "sfiduciato".
  • 16 maggio - Padoa Schioppa viene convocato in audizione presso la Commissione Vigilanza RAI per spiegare le ragioni del suo gesto. L'esposizione sorprende tutti, dal momento che il Ministro sembra sostenere che "il problema della RAI è l'intero CdA", ripetendo con forza il concetto ma evitando accuratamente di spiegare come questo si possa conciliare con la volontà di sostituire il solo Petroni. Nuovamente, l'opposizione grida al golpe, chiede le dimissioni del Ministro e minaccia lo "sciopero del canone".
  • 29 maggio - Il TAR del Lazio accoglie il ricorso di Petroni e dispone la sospensione della riunione del CdA prevista per il 4 giugno successivo, nel corso della quale si sarebbe dovuto discutere l'allontanamento del consigliere non più gradito all'azionista di maggioranza. Il tribunale si riserva di emettere una sentenza definitiva nel merito entro la prima metà di giugno.
  • 7 giugno - Il TAR emette la sentenza che conferma la sospensione della procedura di siluramento di Petroni. E' una sentenza dura, che attacca direttamente Tommaso Padoa Schioppa inchiodandolo alle sue responsabilità per aver agito in base a "ingiustificabili ragioni palesemente extragiuridiche". Come a dire, era una questione personale tra TPS/Prodi e Petroni, la "governabilità" della RAI non era minacciata da questioni tecniche o di merito. In più, il tribunale mette l'accento sull'incoerenza tra la sfiducia al solo rappresentante CdL e le parole dello stesso Ministro che, in sede di audizione in Commissione Vigilanza, aveva chiaramente e ripetutamente affermato che "il problema è l'intero CdA".
  • 1° agosto - Il Consiglio di Stato accoglie le istanze del Governo e dà il via libera all'assemblea che dovrebbe espellere Petroni dal CdA RAI.
  • 23 agosto - Il presidente della Commissione Vigilanza RAI, Mario Landolfi, convoca per il 6 settembre successivo Tommaso Padoa Schioppa in un tentativo estremo di far rientrare la vicenda nei canoni previsti per la sostituzione di un consigliere, ma il Ministro fa melina e dice che per il 6 proprio non ce la fa.
  • 10 settembre - Dopo molti rinvii ed un fallito tentativo in extremis, da parte di Petroni, di ricorrere nuovamente al TAR del Lazio, finalmente l'assemblea viene celebrata, Padoa Schioppa dribbla la Commissione Vigilanza, Petroni è silurato (viene spedito seduta stante a dirigere l'Aspen Institute) ed al suo posto viene richiamato Fabiano Fabiani, uomo di Romano Prodi e di Veltroni, già vicepresidente RAI alla fine degli anni Settanta, già direttore all'I.R.I., già amministratore delegato di Autostrade, già deus ex machina di Finmeccanica, già amministratore delegato di Cinecittà Holding, già presidente di Acea. E' il caos, da ogni parte (esterna al Governo) si grida al colpo di stato, partono nuovi ricorsi al TAR e nuove minacce di "sciopero del canone" (sic!). E' anche l'ufficializzazione della spaccatura nell'Unione tra il quasi-neonato Pd ed i cespugli della Cosa Rossa, che assieme all'Udeur e a Di Pietro, non hanno gradito per nulla né il ritorno di Fabiani né, soprattutto, il modo "originale" con il quale la vicenda è stata gestita dal Governo. Segnatamente, nel corso della medesima assemblea, dovrebbero essere effettuate le nomine RAI, una cosuccia da nulla nata già bollata dallo scandalo Petroni; il presidente Petruccioli nei giorni precedenti si sgolava nel rassicurare l'Italia che "le nomine le facciamo noi", non il Governo. Già. Per fortuna, di nomine non se ne vide neanche l'ombra.
  • 12 settembre - Il Presidente della Repubblica si accorge che qualcosa non va e convoca quello della Commissione Vigilanza RAI per avere spiegazioni circa tutta la storia. Si racconta che Napolitano si sia trovato d'accordo con Landolfi sul fatto che il Governo non abbia fatto propriamente la cosa giusta.
  • 13 settembre - Tommaso Padoa Schioppa finalmente - e colpevolmente troppo tardi - si degna di presentarsi in Commissione Vigilanza RAI per riferire sull'accaduto: parlando ai muri (i rappresentanti della CdL hanno abbandonato l'aula non appena il Ministro ha fatto tanto di entrarvi), Padoa Schioppa ha tentato di tenere fuori dai guai il Governo (come se non ne facesse parte) dicendo che la decisione ("comunque giusta ed eseguita con correttezza") sarebbe stata unicamente sua. Con questo episodio viene definitivamente sancita l'esclusione della Commissione (e del Parlamento) dalla procedura di sostituzione del consigliere Petroni.
  • 20 settembre - L'Esecutivo esce quasi indenne da una pericolosa seduta al Senato ove si votavano le risoluzioni sulla RAI e dalla quale l'Italia aspettava (invano) spiegazioni politiche sull'intera vicenda. Com'era prevedibile, l'unica decisione uscita dalla maratona di Palazzo Madama è di non decidere nulla: nomine congelate fino alla presentazione del piano industriale, quindi sicuramente fino a fine anno. Tutto rimandato.
  • 26 settembre - In Commissione Vigilanza RAI la CdL, nonostante sia in minoranza, fa approvare (con l'aiuto dei primi "fuoriusciti" dalla maggioranza, Bordon in testa) l'adire la Corte Costituzionale nel contestare al Ministero dell'Economia (e quindi a Padoa Schioppa) la competenza nella defenestrazione di un membro del CdA, fosse pure di quello che rappresenta il Ministero stesso. E' una schiacciante vittoria per l'opposizione che fa il paio con la figuraccia della maggioranza al Senato la settimana precedente.
  • 16 novembre - Il TAR del Lazio, cui intanto era ricorso (nuovamente) Petroni, ribalta la situazione e dichiara "illegittima" la sua revoca da consigliere. E' una nuova mazzata diretta a Tommaso Padoa Schioppa (e quindi a Prodi ed al suo governo), accusato di aver fatto "una operazione di chiaro stampo politico, indebitamente realizzata con strumenti legali finalizzati a ben altri scopi", cioè al ribaltamento delle forze in campo; dispone inoltre il reintegro di Petroni nel CdA. Richieste di dimissioni di Padoa Schioppa come se piovesse, silenzio ad oltranza dal Governo.
  • 25 novembre - Il Governo fa a sua volta ricorso al Consiglio di Stato, ostentando sicurezza forte del risultato positivo già ottenuto in quella sede il 1° agosto.
  • 4 dicembre - Il Consiglio di Stato dà invece ragione a Petroni ed affossa Padoa Schioppa: viene respinta la richiesta di sospensiva della decisione del TAR presa il 16 novembre. Il Re è nudo.
Ora, ci domandiamo: lasciando perdere per decenza Nanni Moretti ed i "girotondini", dove sta Beppe Grillo? Forse che senza la canonica imbeccata di Marco Travaglio non se la senta di scrivere qualcosa e di "mandare gentilmente a quel paese" Prodi, il suo Ministro pasticcione (e furbetto) e tutta l'armata brancaleone che ne consegue in un frangente nel quale non può fare l'ecumenico relativista, tipo quando si premura di ricordarci che nello scandalo Unipol è coinvolta Forza Italia?
Possibile che dal palcoscenico privilegiato di sito internet italiano (e non solo) tra i più seguiti il nostro eroe non senta lo stimolo di esprimere una qualche forma non dico di dissenso, ma di perplessità? Perché se, usando il motore di ricerca del blog, immettiamo la parola "Berlusconi" saltano fuori centinaia e centinaia di "post", ma se immettiamo "Petroni" viene su solo un virgolettato preso da una lettera di Marco Travaglio?

martedì, dicembre 04, 2007

Il D'Alema che ti aspetti

«Il fondamentalismo non è un residuo arcaico, ma un fenomeno della globalizzazione. È la reazione alla paura di essere cancellati dal mondo occidentale. L'Islam per tradizione è tollerante, se non fossimo andati noi a dargli fastidio con le crociate...»
Eh già, è sempre il solito D'Alema.