sabato, dicembre 15, 2007

Barça, giù le mutande

Al sottoscritto frega meno di niente del calcio, e cosa fosse il Barça l'ha scoperto tre minuti fa, ma cionondimeno è stra-sicuro di conoscere perfettamente i suoi dirigenti: fanno parte di quel peloso, unto, inutile, dannoso, patetico, irritante grumo di individui che pensano che calarsi le mutande di fronte a chi "di mutande se ne intende" li faccia sentire meno sporchi.
Ignobili ipocriti: perché non fanno una squadra di 5 uomini, 5 donne ed il portiere transessuale, così non urtano nessuna sensibilità neanche in quel senso?

mercoledì, dicembre 05, 2007

Perché Beppe Grillo non è credibile

«Nell'ottobre 2005 l'edizione europea del settimanale statunitense Time lo ha eletto tra gli eroi europei dell'anno per gli sforzi e il coraggio nel campo dell'informazione pubblica». (da Wikipedia)

Ci permettiamo di dissentire vigorosamente. Beppe Grillo non fa "informazione pubblica", né tantomeno è "coraggioso". Beppe Grillo è un comico, un uomo di spettacolo che ha trovato la sua vena in quel che tutti vediamo e conosciamo.
Per carità, niente da eccepire. Se non fosse che l'uomo viene idolatrato regolarmente da un'enorme fetta di popolazione ed elevato a Vate delle genti, velato e nobilitato da quell'antipolitica sapientemente inventata il giorno che Prodi è sceso sotto il 40% nei gradimenti.
Idolatrato, dicevamo, da genti che, notoriamente, non sono di bocca buona dal momento che si bevono acriticamente le crociate a tempo del Beppone nazionale, come quella memorabile contro Internet, quella a favore dell'idrogeno o quella, buona ultima, per la legalità nel Parlamento. Un luogo comune molto duro a morire è quello che vuole Grillo vittima del sistema, un novello Giovanni Battista urlatore nel deserto allontanato dalle telecamere che contano perché troppo scomodo. Ma sappiamo che la realtà è un'altra, Grillo ha volutamente abbandonato le TV pubbliche e private nazionali per ripiegare sul format teatrale in tour prima e su quello online dopo (una volta smaltita la crociata anti-Internet), format che ha reputato essere (a ragione) estremamente più produttivi per i suoi fini di lucro. L'immagine del combattente braccato evoca figure eroiche d'altri tempi, fa presa sul popolo-platea ed ha un ritorno in dobloni certamente superiore a quello di un cabarettista da Zelig qualsiasi. Basta guardare il suo compagno Benigni, che non è certo l'ultimo arrivato, cosa s'è dovuto inventare per campare, un bel mix di parolacce e Divina Commedia da propinare in prima serata, rincorrendo Celentano e "sua sorella". In effetti, a ben vedere, le parolacce tirano sempre.

Dicevamo che Beppe Grillo non fa informazione. In effetti, fa disinformazione dal momento che il dato veicolato con lo spettacolo/blog/v-day viene imposto come Verità assoluta. Cosa che, ovviamente, non è e non può essere, salvo qualche raro e statisticamente accettabile caso.
Ma non sono solo l'attacco strumentale o la bufala spacciata come verità a configurare la fattispecie di disinformazione, nell'operato di Beppe Grillo: anche - e soprattutto - sono i silenzi a mostrare la parzialità del comico genovese il quale del resto, come è probabile e comprensibile, avrà pure qualcuno o qualcosa cui dover rispondere.
Ed ecco che, dopo aver martellato per mesi l'opinione pubblica con la crociata (ripetiamo: sacrosanta, nel merito) contro i condannati in via definitiva che siedono in Parlamento, e dopo l'otto settembre del "vaffanculo-day" (notevole dimostrazione di "educazione civica"), Grillo tace completamente (il link porta ai risultati della ricerca sul blog del comico) circa il più grave episodio di sopruso politico-istituzionale degli ultimi anni: la cacciata di Angelo Maria Petroni dal Consiglio di Amministrazione della RAI ad opera di Tommaso Padoa Schioppa, ministro dell'Economia del governo Prodi, in combutta con il medesimo Presidente del Consiglio e con il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, ed il conseguente scavalcamento secco della Commissione di Vigilanza RAI.

La storia è nota, ma vale la pena scorrerla velocemente nei suoi momenti salienti:

  • 11 maggio 2007 - Il Ministro dell'Economia e delle Finanze, per mezzo di una lettera vergata dal direttore generale del ministero Vittorio Grilli ed indirizzata a Romano Prodi, dice sostanzialmente che la RAI è in "una situazione di stallo" e che la colpa è del consigliere Petroni, rappresentante del Ministero delle Finanze (primo azionista RAI) ma in quota all'attuale opposizione (fu infatti nominato nel 2005 dall'allora ministro Siniscalco). L'ironia della grottesca situazione nella quale si trova Petroni, nel ruolo di ambasciatore presso il CdA del suo medesimo siluramento, sfugge ai media.
  • 12 maggio - Romano Prodi si affretta ad allinearsi alla posizione di Padoa Schioppa: «La RAI non era più governabile, non potevamo lasciarla allo sbando», sostenendo la tesi delle responsabilità tutte in capo a Petroni. Scoppia lo scandalo, l'opposizione grida al golpe e scatta il ricorso al TAR del Lazio da parte del consigliere "sfiduciato".
  • 16 maggio - Padoa Schioppa viene convocato in audizione presso la Commissione Vigilanza RAI per spiegare le ragioni del suo gesto. L'esposizione sorprende tutti, dal momento che il Ministro sembra sostenere che "il problema della RAI è l'intero CdA", ripetendo con forza il concetto ma evitando accuratamente di spiegare come questo si possa conciliare con la volontà di sostituire il solo Petroni. Nuovamente, l'opposizione grida al golpe, chiede le dimissioni del Ministro e minaccia lo "sciopero del canone".
  • 29 maggio - Il TAR del Lazio accoglie il ricorso di Petroni e dispone la sospensione della riunione del CdA prevista per il 4 giugno successivo, nel corso della quale si sarebbe dovuto discutere l'allontanamento del consigliere non più gradito all'azionista di maggioranza. Il tribunale si riserva di emettere una sentenza definitiva nel merito entro la prima metà di giugno.
  • 7 giugno - Il TAR emette la sentenza che conferma la sospensione della procedura di siluramento di Petroni. E' una sentenza dura, che attacca direttamente Tommaso Padoa Schioppa inchiodandolo alle sue responsabilità per aver agito in base a "ingiustificabili ragioni palesemente extragiuridiche". Come a dire, era una questione personale tra TPS/Prodi e Petroni, la "governabilità" della RAI non era minacciata da questioni tecniche o di merito. In più, il tribunale mette l'accento sull'incoerenza tra la sfiducia al solo rappresentante CdL e le parole dello stesso Ministro che, in sede di audizione in Commissione Vigilanza, aveva chiaramente e ripetutamente affermato che "il problema è l'intero CdA".
  • 1° agosto - Il Consiglio di Stato accoglie le istanze del Governo e dà il via libera all'assemblea che dovrebbe espellere Petroni dal CdA RAI.
  • 23 agosto - Il presidente della Commissione Vigilanza RAI, Mario Landolfi, convoca per il 6 settembre successivo Tommaso Padoa Schioppa in un tentativo estremo di far rientrare la vicenda nei canoni previsti per la sostituzione di un consigliere, ma il Ministro fa melina e dice che per il 6 proprio non ce la fa.
  • 10 settembre - Dopo molti rinvii ed un fallito tentativo in extremis, da parte di Petroni, di ricorrere nuovamente al TAR del Lazio, finalmente l'assemblea viene celebrata, Padoa Schioppa dribbla la Commissione Vigilanza, Petroni è silurato (viene spedito seduta stante a dirigere l'Aspen Institute) ed al suo posto viene richiamato Fabiano Fabiani, uomo di Romano Prodi e di Veltroni, già vicepresidente RAI alla fine degli anni Settanta, già direttore all'I.R.I., già amministratore delegato di Autostrade, già deus ex machina di Finmeccanica, già amministratore delegato di Cinecittà Holding, già presidente di Acea. E' il caos, da ogni parte (esterna al Governo) si grida al colpo di stato, partono nuovi ricorsi al TAR e nuove minacce di "sciopero del canone" (sic!). E' anche l'ufficializzazione della spaccatura nell'Unione tra il quasi-neonato Pd ed i cespugli della Cosa Rossa, che assieme all'Udeur e a Di Pietro, non hanno gradito per nulla né il ritorno di Fabiani né, soprattutto, il modo "originale" con il quale la vicenda è stata gestita dal Governo. Segnatamente, nel corso della medesima assemblea, dovrebbero essere effettuate le nomine RAI, una cosuccia da nulla nata già bollata dallo scandalo Petroni; il presidente Petruccioli nei giorni precedenti si sgolava nel rassicurare l'Italia che "le nomine le facciamo noi", non il Governo. Già. Per fortuna, di nomine non se ne vide neanche l'ombra.
  • 12 settembre - Il Presidente della Repubblica si accorge che qualcosa non va e convoca quello della Commissione Vigilanza RAI per avere spiegazioni circa tutta la storia. Si racconta che Napolitano si sia trovato d'accordo con Landolfi sul fatto che il Governo non abbia fatto propriamente la cosa giusta.
  • 13 settembre - Tommaso Padoa Schioppa finalmente - e colpevolmente troppo tardi - si degna di presentarsi in Commissione Vigilanza RAI per riferire sull'accaduto: parlando ai muri (i rappresentanti della CdL hanno abbandonato l'aula non appena il Ministro ha fatto tanto di entrarvi), Padoa Schioppa ha tentato di tenere fuori dai guai il Governo (come se non ne facesse parte) dicendo che la decisione ("comunque giusta ed eseguita con correttezza") sarebbe stata unicamente sua. Con questo episodio viene definitivamente sancita l'esclusione della Commissione (e del Parlamento) dalla procedura di sostituzione del consigliere Petroni.
  • 20 settembre - L'Esecutivo esce quasi indenne da una pericolosa seduta al Senato ove si votavano le risoluzioni sulla RAI e dalla quale l'Italia aspettava (invano) spiegazioni politiche sull'intera vicenda. Com'era prevedibile, l'unica decisione uscita dalla maratona di Palazzo Madama è di non decidere nulla: nomine congelate fino alla presentazione del piano industriale, quindi sicuramente fino a fine anno. Tutto rimandato.
  • 26 settembre - In Commissione Vigilanza RAI la CdL, nonostante sia in minoranza, fa approvare (con l'aiuto dei primi "fuoriusciti" dalla maggioranza, Bordon in testa) l'adire la Corte Costituzionale nel contestare al Ministero dell'Economia (e quindi a Padoa Schioppa) la competenza nella defenestrazione di un membro del CdA, fosse pure di quello che rappresenta il Ministero stesso. E' una schiacciante vittoria per l'opposizione che fa il paio con la figuraccia della maggioranza al Senato la settimana precedente.
  • 16 novembre - Il TAR del Lazio, cui intanto era ricorso (nuovamente) Petroni, ribalta la situazione e dichiara "illegittima" la sua revoca da consigliere. E' una nuova mazzata diretta a Tommaso Padoa Schioppa (e quindi a Prodi ed al suo governo), accusato di aver fatto "una operazione di chiaro stampo politico, indebitamente realizzata con strumenti legali finalizzati a ben altri scopi", cioè al ribaltamento delle forze in campo; dispone inoltre il reintegro di Petroni nel CdA. Richieste di dimissioni di Padoa Schioppa come se piovesse, silenzio ad oltranza dal Governo.
  • 25 novembre - Il Governo fa a sua volta ricorso al Consiglio di Stato, ostentando sicurezza forte del risultato positivo già ottenuto in quella sede il 1° agosto.
  • 4 dicembre - Il Consiglio di Stato dà invece ragione a Petroni ed affossa Padoa Schioppa: viene respinta la richiesta di sospensiva della decisione del TAR presa il 16 novembre. Il Re è nudo.
Ora, ci domandiamo: lasciando perdere per decenza Nanni Moretti ed i "girotondini", dove sta Beppe Grillo? Forse che senza la canonica imbeccata di Marco Travaglio non se la senta di scrivere qualcosa e di "mandare gentilmente a quel paese" Prodi, il suo Ministro pasticcione (e furbetto) e tutta l'armata brancaleone che ne consegue in un frangente nel quale non può fare l'ecumenico relativista, tipo quando si premura di ricordarci che nello scandalo Unipol è coinvolta Forza Italia?
Possibile che dal palcoscenico privilegiato di sito internet italiano (e non solo) tra i più seguiti il nostro eroe non senta lo stimolo di esprimere una qualche forma non dico di dissenso, ma di perplessità? Perché se, usando il motore di ricerca del blog, immettiamo la parola "Berlusconi" saltano fuori centinaia e centinaia di "post", ma se immettiamo "Petroni" viene su solo un virgolettato preso da una lettera di Marco Travaglio?

martedì, dicembre 04, 2007

Il D'Alema che ti aspetti

«Il fondamentalismo non è un residuo arcaico, ma un fenomeno della globalizzazione. È la reazione alla paura di essere cancellati dal mondo occidentale. L'Islam per tradizione è tollerante, se non fossimo andati noi a dargli fastidio con le crociate...»
Eh già, è sempre il solito D'Alema.

venerdì, novembre 30, 2007

Senso dell'umorismo: zero

Leggendo questo articolo (non firmato) sul Corriere.it viene da chiedersi se il suo autore abbia lontanamente subodorato la realtà delle cose.

lunedì, novembre 26, 2007

«Berlusconi è sulla strada giusta»

«I politici sono lenti, giocano sul tempo, ingannano i loro stessi elettori. Berlusconi, no: Berlusconi è sulla strada giusta. Silvio Berlusconi fa promesse che poi mantiene. Ma il popolo non capisce».
E' un fiume in piena, Mariano Apicella: un'ora e cinquanta al centro della scena, tra musica e politica, in prime time su RAI UNO. Emilio Fede fa da intervistatore-spalla, fa finta di volerlo interrompere, ma gli da la stura per il prossimo assolo. Sublime.
Un evento largamente annunciato ed atteso, spinto - sospettiamo - dalla prossima uscita del CD del cantautore, ma in fondo una serata di buona musica e buoni consigli vale bene un po' di canone dei contribuenti.
Incazzati? Contrariati? Bene, invertite i ruoli: è successo veramente.

giovedì, novembre 22, 2007

Sono già all'opposizione

Non sono trascorse neanche quarantotto ore da Piazza S. Babila, i gazebo sono ancora caldi, il popolo del centrodestra - e non solo quello - sta ancora cercando di capire cosa sia successo. Ma loro, no. Loro hanno già capito tutto. Nelle loro menti si è formata, evidentemente, l'immagine del disastro; si è materializzato - di nuovo - il peggiore degli incubi. La parola d'ordine è: Guerra Preventiva.
La prima bordata parte pochissime ore dopo il fatale annuncio: è un timido tentativo, forse fallito in partenza, ma serve a saggiare il terreno, tentano lo stesso. Il colpo fa clamorosamente cilecca. Ma nello Stato Maggiore non si perdono d'animo e scatta l'operazione "Rovista nel Cassetto".
Decine di oscuri funzionari vengono risvegliati ed impiegati in una massiccia operazione di spulciamento, con un ordine preciso: scovare, negli archivi di Repubblica, qualsiasi inchiesta, rumor, voce di corridoio, bufala, ipotesi o complotto che sia stata tenuta in caldo nell'ultimo anno e mezzo.
Il compito è difficile, da aprile 2006 in avanti le priorità sono state altre, si è persa un po' la memoria di certi termini, certe paure, certe emergenze... ma all'improvviso la luce: eccola! Si si, si parla di televisioni, di controllo dell'informazione, di accordi segreti, di Bruno Vespa, di pericolo per la democrazia, perfino di Conflitto di Interessi, oh! gioia: le parole chiave ci sono tutte, anche il periodo è più che buono! 2004-2005, perfetto! OK, approvato, usiamo questa.

I giornalisti RAI sono incazzati. C'è indignazione contro quella che viene definita "cabina di regia", un organismo che avrebbe pilotato le notizie piegandole a una precisa strategia politica. Ne esce un documento, che chiede una legge sulla Rai che lasci i partiti fuori dall'azienda. La Rai si costituisce parte lesa, siamo ormai al capolinea: la Rai non può più essere di proprietà di un ministero, quello del Tesoro, un obbrobrio contenuto nella Gasparri.
Rai e Mediaset avevano un filo diretto e concordavano una strategia. Andavano in onda edizioni fotocopia dei tg Rai e Mediaset, nella cosiddetta "cabina di regia" c'erano esponenti politici, vicini a Berlusconi, capaci di dettare la loro legge.
Una vicenda di assoluta gravità, un'emergenza pubblica, è in discussione il diritto a essere informati. Un costume che offende le migliaia di giornalisti Rai e Mediaset che fanno onestamente il proprio mestiere. Bisogna che il Parlamento ponga mano subito alla legge sul conflitto di interessi.
Hanno paura, sono nel panico. C'è da coprire lo scandalo dell'okkupazione della RAI, la gente deve dimenticare che Padoa Schioppa si sarebbe già dovuto dimettere per la vicenda Petroni, ma soprattutto c'è da distrarre e mentire, c'è da bombardare piazza S. Babila. Sono comunisti, si muovono nel loro ambiente. Sono già all'opposizione.

martedì, novembre 20, 2007

Clima e guerra

Ecco l'articolo pseudo-scientifico più inutile mai apparso sui giornali.

domenica, novembre 18, 2007

Nasce il partito popolare

Forte del successo senza precedenti dei "gazebo contro Prodi" (più di sette milioni le adesioni pervenute, stando ai numeri forniti da Forza Italia - più probabilmente saremo attorno ai cinque), Berlusconi ha detto quello che in moltissimi speravano di sentirgli dire: e cioè che il baraccone Forza Italia verrà finalmente sciolto all'interno di un vero partito popolare (le minuscole, per ora, sono d'obbligo), voluto dalla gente e - si spera - libero da quell'impronta da vendita porta a porta che ha sempre caratterizzato FI.
Non c'è che dire, un colpaccio per Er Bandana: in una mossa sola ha sputato in faccia al moribondo Prodi ed ha dato una bella lezione agli alleati di coalizione, che già gli danzavano attorno come morto.
Vediamo come la cosa si svilupperà nel corso della settimana entrante, per domani (lunedì 19/11) è prevista l'ufficializzazione della nascita del nuovo soggetto politico, ed i gazebo rimarranno al loro posto ancora a lungo, trasformati ora in luoghi di propaganda ed adesione al partito nascente.

giovedì, novembre 15, 2007

DNA buono, DNA cattivo

E' sempre triste constatare come persino il mondo scientifico, che dovrebbe basarsi sulle evidenze, sia sempre incline a piegarsi alle ideologie.
Evidentemente ci sono cose che, pur essendo non solo vere ma conclamate ed assolutamente normali, non possono essere dette, neanche utilizzando altisonanti termini latini. In omaggio al politically correct, ovviamente.
L'ultimo proclama oscurantista, strillato dal premio Nobel di turno, è «Lo studio del DNA aumenta il razzismo», come se le razze non esistessero ed esistesse solo la discriminazione delle medesime. Come se le pulsioni politico-ideologiche debbano avere prevalenza sulle evidenze scientifiche e sulle conquiste dell'umanità.
Salvo, però, fare assoluta marcia indietro se l'"ideologia" in questione è quella religiosa, e cristiano cattolica in particolare. Ma guarda un po'.

mercoledì, novembre 14, 2007

L'okkupazione

Dopo la cultura, la pace, la moralità, la s(k)uola, la sociologia, l'ambiente, il governo, il cinema, l'arte, la grande distribuzione, la storia, la giustizia, la globalizzazione, la carta stampata, la satira, l'antipolitica è ora il turno della politica ad essere appannaggio esclusivo della sinistra. Cosa rimane?

mercoledì, settembre 26, 2007

Ahi ahi, Grillo birichino!

Ecco che la stampa di regime si allinea e trova in Grillo il capro espiatorio del mercoledì pomeriggio: sarebbe "colpa sua" se i sondaggi continuano a crollare inesolabilmente.
E allora come mai la CdL al contrario continua a salire inesorabilmente, avvicinandosi ormai a cifre bulgare? Cos'è, non fa parte della "politica da abbattere"?

Il giorno che la si pianterà di ciarlare di "sentimento antipolitico" e si comincerà a chiamare col suo nome lo schifo nei confronti dell'Unione dei Rottami, sarà finalmente fatta giustizia nei confronti dell'intelligenza degli italiani. Di quelli che l'hanno conservata, perlomeno.

lunedì, agosto 27, 2007

Zero, ovvero il complottismo colto

Ci risiamo, puntuale come la dichiarazione dei redditi ritorna l'orda complottista al suo meglio, stavolta sotto forma di "panel" mondiale di autorevoli capoccioni che, una volta di più, si sperticano in acrobazie mentali per cercare di dimostrare l'indimostrabile.
Certo, cambiano gli adepti, cambiano i blasoni ed i doppi e tripli cognomi, ma il vertice rimane sempre quello: Giulietto Chiesa. E, a ben vedere, non cambiano le modalità di propagazione di questa infezione: la stampa allineata e acefala.
Stamattina è stato il Corriere della Sera, per mezzo dei suo sito Internet, a farmi tornare indietro di qualche anno: questo articolo-spot, incominciando con un "Dunque, ecco la verità" e sapientemente messo nella sezione "Esteri" e non "Spettacoli e Cultura", ci delizia con la buona novella della nascita di "Zero", polpettone complottista scritto a duecento mani dalla crema dell'intellighenzia mondiale, economisti, sacerdoti, scrittori, filosofi, giornalisti e cuochi. Tutti concordi nell'individuare Bush (o giù di lì) il vero responsabile degli attacchi dell'11 Settembre; ma non perché - come un lettore superficiale ed ingenuo potrebbe presupporre - con la sua politica imperialista avrebbe ridotto alla disperazione i 19 kamikaze, ma perché le torri Bush se l'è proprio tirate giù da solo. Con l'aiuto degli ebrei, ovviamente.

sabato, agosto 18, 2007

La Sindrome "B"

Povera Maria Laura Rodotà. Si potrebbe pensare ad una crisi da noia estiva, oppure ad un vuoto di ispirazione, ma no: la Nostra non è nuova a scenate del genere, ed oggi ha dato tutto il suo peggio.
Quante energie sprecate. Invece di preoccuparsi di un governucolo piccolo e dannoso, che sta portando l'Italia oltre il bordo del baratro (e lo fa sheeeeeeeeeeeriameeeente), la Rodotà si preoccupa - e pare preoccuparsi molto - della bigiotteria maschile "rubata" anch'essa, come già fu per "forza Italia!" e per le bandane, dal Nano Malefico.
Per lei va bene tutto, va bene un Caruso che sputa sui morti, va bene un Amato che si cala le mutande davanti al primo Imam terrorista, va bene Vischioppa che ci porta sul lastrico, va bene - anzi benissimo! - Veltroni-uomo-nuovo-4-stagioni (che come governa Roma è una favola!), va bene tutto. Ma la cordina con lo smeraldo no, quella proprio NO! NO!!

UPDATE: Forse voleva anche i capelli rossi.

martedì, maggio 08, 2007

Vorremmo essere tutti francesi

Che invidia. Il breve discorso che Nicolas Sarkozy ha pronunciato pochi minuti dopo la sua bellissima vittoria nella corsa all'Eliseo ha scaldato e riacceso gli animi. Certamente il mio, e spero vivamente quello di tutti i miei concittadini come me impantanati in questa piccola, patetica, triste italietta tutta conflitto di interessi, coordinatori e scissioni.
Che invidia. Sentire un leader parlare di diritti dopo i doveri, di sicurezza, di orgoglio nazionale, di rispetto e libertà, di aiuto reciproco e di responsabilità, di pacchia finita per i mangiapane a tradimento... e non doversi vergognare, giustificare, scusare per l'aver goduto di un discorso subito messo all'indice come nazifscista dai soliti farisei, se fosse successo in Italia.
Che invidia. Vedere le facce della gente felice, con gli occhi pieni di gioia e speranza, con davanti una strada nuova, col '68 ed i suoi rottami ideologici finalmente sulla via del cesso, col politicamente corretto frantumato dal coraggio delle parole, con l'Europa finalmente messa a nudo per quel covo di mollicci burocrati succhiasangue buoni solo a determinare la dimensione giusta per le banane, e forse manco per quello.
Che invidia. Noi qui a straziarci di tesoretto, emergenze preventive, fusioni fredde, scissioni calde, leadership e coordinatori, centri e non c'entri, conflitti di interesse e bancarelle rovesciate, Cogne e Telecom-che-no-agli-yanlees-ma-si-a-zapatero, Enzo Biagi e Beppe Grillo.
Siamo vent'anni indietro; se non altro, quelli di età che passano tra uno come Sarko ed il reparto geriatrico che ci portiamo appresso da sessant'anni a questa parte.
Che invidia. Vorrei essere francese, oggi.

venerdì, aprile 20, 2007

Meglio del Viagra

Oggi Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera, ha avuto un orgasmo. Multiplo. Tutti gli altri, invece, si dormiva.
Solo la presentazione del simbolo ci scuoterà dal sonno, ma sarà una breve interruzione.
Povero, povero Fassino.

mercoledì, marzo 28, 2007

Astensione e caduta

Leggo nella blogosfera di area centrodestra e liberale un certo senso di confusione e scoramento dopo il voto di ieri al Senato. In particolare, si accusa Berlusconi (e Fini e Bossi) di aver "sbagliato", di aver fatto "autogol", di aver "rafforzato Prodi". Beh, questo lo dice Prodi, attenzione a non credere alla sirena.
Le motivazioni a sostegno dell'astensione erano e rimangono valide: il decreto licenziato ieri sera dal Senato non aiuta i nostri militari, anzi li espone a rischi enormi soprattutto in Afghanistan, in quanto lascia sostanzialmente le cose come stavano (non sarà un Predator ed un C130 in più a far la differenza, né lo faranno le promesse di "sentire i comandanti") a fronte di una recrudescenza del teatro di guerra. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il decreto medesimo non è altro che il risultato di un certosino lavoro di bilancino politico tutto teso a non scontentare i comunisti ed i verdi domestici, possibilmente senza farsi mettere troppo all'indice dagli ormai iper-sospettosi alleati europei e, se avanza qualcosa, d'oltreoceano/manica. E la dimostrazione di ciò è stata la bocciatura dell'OdG che chiedeva l'ovvio: che "in tempi brevi, ai nostri militari venissero messi a disposizione veicoli di massima blindatura, elicotteri, postazioni per attivare la reazione immediata in caso di attacco, eliminando così quanto più possibile il rischio della vita dei soldati".
Con tutto ciò ben presente, l'astensione è stata un chiaro segnale di protesta contro questo governo e la sua non-politica estera, a favore dei nostri militari e non contro di loro.

Poi, voltiamo pagina, e veniamo alla questione di far cadere Prodi quanto prima. Nella seduta di ieri, le speranze in merito erano tutte accentrate sul balletto degli ordini del giorno (che, come le mozioni, sono una vera e propria trappola politica per una maggioranza risicata e rissosa - ne sa qualcosa Prodi che vi è caduto sopra il mercoledì delle Ceneri), e si è cercato il bis. In aggiunta, la quasi matematica certezza che il "quorum politico" di 158 voti non sarebbe stato raggiunto dalla maggioranza induceva a perseguire la strada del "trappolone" per tentare di unire astensione e caduta in un'unica mossa combinata e letale. La tattica non ha avuto successo e Prodi è uscito indenne dal pantano degli OdG. Il voto successivo, grazie al palese e noto sostegno da parte dell'UDC, è stato una (quasi) passeggiata.
Quasi, perché i fatidici 158 voti non ci sono stati. Ora, si attendono le decisioni dell'UDC e della CdL - li cito volutamente separati in queto modo, prendiamone atto - per vedere se si terrà fede a quanto annunciato ieri e se si salirà al Quirinale per chiedere le dimissioni di Prodi. Atto puramente formale e "dovuto", dal momento che Napolitano si guarderà bene dall'accogliere una simile richiesta, per quanto legittima.

Occhio, quindi: non ci si pianga addosso per colpe che non esistono e non si confonda il decreto con gli OdG, l'astensione con l'auspicata caduta di Prodi. Non si pratichi lo sport della banderuola agitata, nel quale tanto bravi sono i nostri avversari politici, che un giorno gridano una cosa ed il giorno dopo, come se nulla fosse, gridano l'opposto. Si lasci a loro questo ridicolo comportamento.
Noi guardiamo avanti e traiamo il buono dagli eventi: probabilmente ci leviamo di torno "i casini" dell'UDC (la vera "svolta politica" di cui va parlando Prodi) e la CdL ha finalmente ascoltato come un solo uomo la sua base ed il suo grido. Altro che sconfitta.

martedì, marzo 27, 2007

Il decreto passa, Prodi no

Il Senato ha approvato la conversione in legge del decreto sul rifinanziamento delle missioni all'estero: 155 voti dell'Unione, 20 dell'UDC, 4 dei senatori a vita ed uno di un senatore di Forza Italia "impazzito".
La maggioranza politica richiesta era di 158, mancano tre voti. Domani, pellegrinaggio al Quirinale e situazione estremamente fluida.

venerdì, marzo 23, 2007

Non diamo dell'ingenuo a D'Alema

Altro che ingenuo: arrogante e superficiale, ma non certo ingenuo. Il comportamento del governo italiano, non dimentichiamolo, al di là dei proclami pro-Mastrogiacomo e pro-vite umane, è in realtà dettato dalle condizioni della politica interna all'Unione. L'eventuale morte di Mastrogiacomo sarebbe stata subito devastante per la tenuta del governo e della maggioranza, ogni mezzo era lecito per tirarlo via da là. Per di più, non si poteva essere certo da meno di Berlusconi, che di ostaggi ne aveva tirati fuori già un bel po'. Ma serviva un punto di rottura, una discontinuità, come nella migliore tradizione.

La quasi infantile soddisfazione di Bertinotti, come è evidente, è stata la più chiara conferma di questo fatto: la vicenda si è risolta, e si è risolta nel modo gradito alla sinistra radicale (niente USA, niente militari - ministri della Difesa compresi, niente intelligence, centralità delle ONG, sostegno ai terroristi, depistaggio e disinformazione, appoggio e sfruttamento della stampa amica, mobilitazione delle piazze e dei consueti vivai di utili idioti della politica, dello sport e dello spettacolo, e tutto il repertorio canonico che ben conosciamo). Il voto al Senato incombe ed occupa l'intero campo visivo di Prodi e kompagni assortiti, del resto: meglio sobbarcarsi i mugugni di Rutelli e Mastella (e del resto del mondo civilizzato), che inimicarsi i comunisti ed i verdi domestici.
La strada era già tracciata, dunque: mentire con tutti (a cominciare dagli USA, ma forse anche con l'Afghanistan stesso e Dio solo sa con chi altro), tirare a campare finché Strada non avesse fatto le sue cose e solo poi mettere in campo tutte le arti acrobatico-labiali per negare l'evidenza; cosa che, come si vede, D'Alema riesce a fare benissimo. Come sempre.

Altro che ingenuità: quest'operazione è stata un capolavoro nel suo genere. Peccato che il mondo sia un altro; ma questo a loro non importa.

giovedì, marzo 22, 2007

Orgoglioni

C'era da aspettarselo. I veri protagonisti della vicenda Mastrogiacomo, gli esponenti della sinistra radicale italiana, sono finalmente venuti allo scoperto: questa mattina Fausto Bertinotti, Presidente della Camera dei Deputati, ha dichiarato apertamente ciò che tutti sapevamo:

Penso che ci sia una legittima rivendicazione di orgoglio nazionale nelle cose che sono state fatte. [...] E' stata fatta la trattativa come si doveva, utilizzando tutte le forze ufficiali e informali dentro un progetto guidato dal governo. Penso che possiamo dirci orgogliosi di questa operazione.
Bene, bravo, bis. Voglio chiedere al Presidente Bertinotti (uso le maiuscole per rispetto alle istituzioni) a chi si riferisca con quel "possiamo". Non certo al sottoscritto.
Orgogliosi di aver liberato cinque criminali talebani di primo livello? Orgogliosi di aver infranto la regola, non scritta ma da tutti finora accettata, che con i terroristi non si tratta e, soprattutto, non si scambiano prigionieri? Orgogliosi di aver gioìto in mondovisione con le braccia al cielo, mentre la testa di Sayed Agha ancora rotolava? Orgogliosi di aver esposto il nostro Paese al pubblico ludibrio, parìa sul delicato scacchiere internazionale della guerra al terrorismo fondamentalista? Orgogliosi di aver indicato chiaramente ai terroristi come fare per ottenere un facile ed immediato risultato? Orgogliosi di aver finalmente esposto completamente i nostri soldati ai capricci del primo capotribù con la luna storta? E, soprattutto, orgogliosi di rivendicare il ruolo del governo nell'ordire tutto ciò?
No, caro Presidente. Si sciacqui la bocca, prima di parlare di orgoglio nazionale. Non siamo orgogliosi. Non dovete essere orgogliosi. Siete e ci fate sentire ORGOGLIONI.

martedì, marzo 20, 2007

Ed ora, a casa

E' un fatto che se la sono cantata e se la sono suonata, dal principio fino all'ultimo istante. Tanto di cappello a Strada ed alla sua organizzazione, se riesce a risolvere situazioni come questa lasciando fuori governi, servizi segreti ed eserciti (il suo "fuori dai coglioni Sismi e Ros" ha fatto il giro del mondo); di certo c'è che l'Italia che sta appena fuori Emergency ha fatto una figura pessima, in questa storia.
Tatticamente, perché per la prima volta ha spiattellato ai quattro venti il prezzo pagato per riavere indietro l'ostaggio, e questo non si fa. Politicamente, perché era evidente fin da primo istante come il governo ed i ministeri coinvolti non avessero mai avuto sotto controllo la situazione, nonostante le compulsive esternazioni di Prodi e D'Alema. Diplomaticamente, perché ora D'Alema si presenta dalla Rice portando in dote un comportamento che più anti-coalizione non si può, ed ha speranze ora veramente nulle di essere anche solo preso in considerazione con la sua patetica conferenza di pace.
Una volta di più il gioco a voler fare l'amico equivicino è rovinato in farsa, una volta di più i nostri soldati ed il nostro personale civile verranno esposti ai capricci di questo o quel capo tribù; che ora, più che mai, sa benissimo dov'è l'albero della cuccagna.
Stavolta lo dico io: in queste condizioni, con questo governo, a casa, e subito. Lasciamo là Emergency (che tanto ci stava già prima) ed i Mastrogiacomo col turbante, ma tiriamo via subito tutti gli altri. Che d'ora in poi tirerà una pessima aria, da quelle parti.

lunedì, marzo 19, 2007

Cinque al prezzo di uno

Daniele Mastrogiacomo è libero. Cinque detenuti talebani sono liberi.
Ora, Mastrogiacomo tornerà a fare servizi giornalistici dalle zone "calde" del Pianeta, i cinque talebani con tutta probabilità sono quelli che contribuiranno a renderle tali.
E la barca va.....

Governo chiacchierone

La vicenda del rapimento di Daniele Mastrogiacomo sta mettendo a nudo, vieppiù ogni giorno che passa, la confusione ed il pressapochismo dell'attuale governo italiano. Voci, passaparola, conferme e smentite, mezze parole.
Con Prodi che ci tiene a mostrarsi "al lavoro", salvo poi dire che c'è poco da fare e lasciare campo libero a Gino Strada e compagni; con Fassino che, con un occhio al 15% raggiunto dal suo partito e l'altro occhio supplichevole diretto a sinistra, propone assurde conferenze di pace con i talebani; con i servizi segreti decapitati e sputtanati di fronte al mondo; con i media imbavagliati che da quattordici giorni forniscono copertura H-24 sul nulla assoluto, salvo rimbalzare quanto c'è di falso, non confermato o mera "speranza".
Sembrano lontani milioni di anni i tempi del rapimento della Sgrena o di Quattrocchi e compagni, i tempi del Sismi e dell'intelligence: ora siamo nell'era dei rapimenti soap-opera, dove i rapitori sono gli interlocutori parificati da soddisfare ad ogni costo. E sotto i riflettori.
Meglio, forse, quando si pagava sotto banco e via.

mercoledì, marzo 07, 2007

Aborto e vita

Senza alcuna velleità nel voler esaurire un argomento così complesso e controverso in due righe, la storia raccontata dai giornali di oggi mi pone di fronte ad una domanda dalla quale non si scappa.
Me la pongo dopo aver riportato uno stralcio dell'articolo:

La legge 194 prevede che l'interruzione volontaria di gravidanza dopo i 90 giorni possa essere praticata se c'è un grave pericolo per la vita della donna oppure se sono stati accertati processi patologici "tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna". È ovviamente un medico a dover certificare l'esistenza di questi problemi. Cosa avvenuta nel caso della donna fiorentina. Ma la legge dice anche che "quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell'articolo 6 (cioè se c'è il grave pericolo per la donna, ndr) e il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto". È ciò che è successo a Firenze. Chi era in sala per fare l'interruzione di gravidanza ha visto che il feto era vivo, il cuore continuava a battere. Così ha chiamato un pediatra della terapia intensiva neonatale che ha rianimato il bambino. Il piccolo pesa 500 grammi ed ora è ricoverato al Meyer (a Careggi non c'era posto) dove disperano di salvarlo. Le sonde che sono state messe nel suo organismo hanno rivelato che non c'è alcuna atresia dell'esofago.
Al di là dell'errore di diagnosi (comprensibile e scusabile), quello che non si capisce è: ma 'sto feto è "vivo" o no? Perché se non lo è, che deve "salvaguardare" il medico? E se invece lo è, perché lo si uccide? Come mai un attimo prima di essere tirato fuori dall'utero è un feto passibile di aborto e un attimo dopo è un "bimbo" (come scritto nell'articolo) la cui vita è da "salvaguardare con ogni misura"?

C'è qualcosa che non torna.

**UPDATE**
Non ce l'ha fatta. Il feto/bimbo (si decidessero) è morto (anche qua si decidessero) per complicanze cardiocircolatorie.

sabato, marzo 03, 2007

Bullismo? Non fateci ridere.

Non passa giorno che i media non ci sottopongano un nuovo "caso" di bullismo nelle scuole, e tutti a stracciarsi le vesti per una società non a misura di giovane, contro i videogiochi, contro chissà quale altra chimera.
Poi, si scopre che un preside di Bari viene spedito all'ospedale non dagli alunni ribelli, ma dai loro genitori. La causa? Valla a sapere, non si può dar credito ai giornali. Fatto sta che, qualche giorno fa, pare che lo stesso preside sia stato oggetto di minacce ed insulti per aver osato sequestrare i cellulari ad alcuni alunni per consentire lo svolgimento di una lezione.
Ora, dov'è il problema del "bullismo"? Nella "società"?

mercoledì, febbraio 28, 2007

Dico, il grande boomerang

In vista del voto di fiducia al Senato previsto per questa sera, lo scenario che si va delineando nelle ultime ore vede la questione "Dico" tornare prepotentemente in primo piano.
C'è la concreta possibilità che sia proprio il controverso disegno di legge sulle unioni di fatto l'anello debole della già fragile catena che tiene in piedi il governo Prodi dopo lo scivolone al Senato sulla politica estera.
Prodi ha scelto di lasciare fuori i Dico sia dai dodici punti programmatici presentati all'indomani della crisi, sia dal discorso col quale si è ripresentato al Senato ieri per chiedere la fiducia. Diversi esponenti del governo e della maggioranza hanno dichiarato che i Dico sono, ormai, "materia da parlamento", e non più di competenza del governo.
Tale decisione, però, rischia ora di rivelarsi un boomerang: se sulle altre questioni scottanti (Afghanistan in primis) i leader del centrosinistra ed i membri del governo si sono allineati obtorto collo, sui Dico pare farsi strada la convinzione che è possibile dichiarare tutto ed il contrario di tutto. E questo, nelle ore calde che precedono il voto di fiducia, non è un bene per Prodi.
Tale "dimenticanza" (fatta coscientemente per non vanificare l'apertura al centro che è stata l'architrave del dopo-crisi), e il chiacchiericcio che ne consegue, rischiano ora di indispettire proprio quei senatori-chiave che si trovano dalle parti di Andreotti e, forse, ma per ragioni opposte, quelli che gravitano attorno alla sinistra radicale. Per non parlare di Mastella.
Prodi ora ha davanti una rosa molto ristretta di scelte: la prima (e più logica) è quella di fare una dichiarazione sui Dico nel corso della replica prima della votazione, ma dovrà stare molto, molto attento a quel che eventualmente dirà. La coperta è sempre più corta.

venerdì, febbraio 23, 2007

Follini salta il fosso e fa Centro

Era una questione di programma: si è rivelata solo una questione di numeri.
Ormai è praticamente una certezza: il senatore Marco Follini e la sua Italia di Mezzo faranno da stampella al disastrato governo Prodi, regalandogli quel minimo di sostegno in più al Senato che gli permetterà di galleggiare con l'acqua alla gola e non più alle narici.
Il compenso? La cadrega, anzitutto; poi, otto o nove dei dodici punti "non negoziabili" di Prodi, più l'affossamento dei Dico. Diamine, manca solo il Ponte sullo Stretto e sembra un regalo confezionato con carta scudocrociata.

E la sinistra radicale? Al di là delle trionfalistiche sparate di Pecoraro Scanio ("abbiamo rilanciato il programma"), i compagni comunisti ingoiano un rospo di dimensioni epiche, TAV e pensioni comprese. Se lo ingoiano.
Infatti, questo è l'ultimo dubbio rimasto: basteranno a Napolitano le assicurazioni di reciproco amore da Follini a D'Alema e il silenzio-assenso da là fino a Caruso per far si che riaffidi la baracca nelle mani di Prodi?

Noi, permettetecelo, abbiamo i nostri legittimi dubbi.

**UPDATE**
A quanto pare (era ovvio) i "dubbi" iniziano ad averli anche i compagni. Neanche ad un'ora dal vertice.

giovedì, febbraio 22, 2007

Il problema è il programma

Ho quasi un senso di nausea, ma stasera dopo aver seguito Porta a Porta mi ritrovo a pensare: "Tonino for president!"
Conterà come il due di picche (e non perdono occasione per ricordarglielo), ma ha preso una posizione indiscutibilmente seria e condivisibile: non è questione di quel senatore in più o in meno, il problema di fondo è il programma. Prodi e questa maggioranza sono stati eletti perché, pur se sul filo di lana, pur se grazie alla legge elettorale e pur con tutte le contraddizioni del caso, hanno saputo trovare una specie di sintesi in quelle quasi trecento pagine di programma che hanno presentato agli elettori. Ora, se ad ogni pié sospinto quel medesimo programma viene messo in discussione (e non potrebbe essere altrimenti, visto come è nato) non ci si deve stupire se il governo prima annaspa, poi affonda e alla fine muore.
Rifondazione, l'Ulivo e persino Rutelli dicono in coro: andiamo avanti. Ma lo dicono pelosamente, come lo dice Franca Rame: andiamo avanti, col naso turato, sennò torna Berlusconi.
Non è pensabile né un Prodi-bis né far finta di nulla, su queste basi. E' una presa in giro di sé stessi e del Paese.
Anche e soprattutto perché quei due "dissidenti" che, oggi, hanno mollato non lo hanno fatto perché improvvisamente impazziti o perché pagati da qualcuno: hanno mollato perché non tolleravano più il dover scendere quotidianamente a compromessi con la propria coscienza politica votando provvedimenti che fanno rivoltare nella tomba qualsiasi comunista degno di questo nome.
E se l'Unione (sic!) decide di andare avanti ottusamente su questa strada (può farlo, non c'è nessuna legge, né la Costituzione ad impedirglielo), fatalmente un altro Rossi presenterà il conto tra qualche settimana o tra qualche mese; non scordiamoci che tra Dico, rifinanziamento ISAF e pensioni non c'è tanto da stare allegri per il prossimo futuro parlamentare.
Ancora, c'è il sospetto che si voglia tirare avanti quel tanto che basta a scongiurare le elezioni anticipate di primavera (i tempi tecnici ci sono ancora): questo sarebbe ancora più miope e puerile, ma ci sarebbe da aspettarselo. Serietà al governo un paio di palle.

Aspettiamo quindi l'esito delle consultazioni che iniziano domattina. Solo allora si saprà dove andremo a finire.

Nel caso in cui non ci fossero le condizioni (maggioranza) per continuare con Prodi e questo governo, allora ne vedremo delle belle: già Udc e Lega fanno a botte sulle larghe intese e sui "tavoli" proposti da Casini.

Ma intanto, portiamo a casa un importante risultato: Prodi è politicamente finito, e con lui D'Alema (per non parlare del Partito Democratico). Rimangono solo pezzi sparsi, dei quali c'è solo da capire quanti sono. Importante risultato, ho detto: non positivo. L'Italia non ci guadagna nulla, ancora.

mercoledì, febbraio 21, 2007

Senza parole

[Foto tratta dall'homepage del Corriere.it; il file si chiama "tristezz.jpg" :-) ]

Diliberto e i "criminali"

«Criminale sarebbe riconsegnare il Paese alle destre». Con questo epiteto il leader del Comunisti Italiani Oliviero Diliberto commenta il disastro odierno al Senato, quando l'Unione è andata sotto nel voto sulla mozione riguardante la politica estera, ed in particolare la missione afghana.

Proprio lui, parla di criminali. Proprio lui che, assieme al Prc, costituisce la facciata politicante di quell'humus nel quale crescono e si alimentano le nuove Brigate Rosse, nonché i loro fratellini minori spaccavetrine. Proprio lui, che si fregia tutt'oggi di quel simbolo di morte ed oppressione che è un insulto alla libertà, alla democrazia, al genere umano.

Moderi i termini, Diliberto: faccia un esame di coscienza - se ne ha facoltà - ed accetti la realtà dei fatti. Lei, il suo partito, la sua coalizione di governo appartenete ad un mondo che, grazie al Cielo, non c'è più e che resiste solo nelle tristi e buie pagine di storia e nei sogni distorti di alcuni. Almeno in questo Paese.

21 febbraio 2007, ore 14:47

Ricorderemo questo momento: è la bocciatura della mozione dell'Unione (sic) sulla politica estera e, in particolare, sulla missione in Afghanistan. La fine del secondo governo Prodi.

Due voti, due soli voti ed il quorum di 160 non è raggiunto. Pesano le astensioni: Rossi, Pininfarina e Andreotti, su tutti.

Ma anche Vicenza ha avuto il suo peso. Le parole stesse di D'Alema, hanno avuto il loro peso: aveva chiesto un "voto chiaro". Più chiaro di così, si muore.

Ora, le dimissioni. Subito.

Afghanistan rosso

Mentre scrivo sto ascoltando D'Alema che, al Senato, cerca di convincere la sinistra radicale a non uccidere il goveno sull'Afghanistan.
L'argomento chiave di D'Alema è stato: "le istituzioni afghane sono di sinistra". Lascio a voi ogni commento.
Altro punto chiave: l'Italia non manda soldati, l'Italia sta là per promuovere conferenze di pace. E, se fino l'altroieri non se la filava nessuno su questa strada, oggi si raccolgono "crescenti consensi da parte di altri paesi europei". All'inevitabile brusio interrogativo, Baffetto spiega: "Si, ad esempio la Spagna". Ah.
Infine la chicca: l'esercito italiano deve stare in Afghanistan altrimenti là rimangono solo gli yankees della NATO. Non "per" l'Afghanistan, ma "contro" la NATO.
Un polpettone politically correct su multilateralismo, impegno per la pace, anti-occidentalismo, aria fritta e preghiere del tipo: "per favore, turatevi il naso, lo so che non condividete una virgola, ma datemi un bel SI convinto che ne abbiamo bisogno".

**UPDATE**
Il "SI convinto" non è arrivato. Ora, vediamo il livello di coerenza di questo esecutivo.

martedì, febbraio 20, 2007

Ottusi al capolinea

Anche di fronte al disastro imminente la sinistra italiana, per bocca del suo organo stampa ufficiale (La Repubblica), non smentisce il diktat numero uno: negare, annebbiare, depistare.

D'Alema dice apertamente che domani il governo Prodi-2 morirà? Si sbatte in prima pagina un improbabile sondaggio (ma non era una mania di Berlusconi?) che affibbia un 56% di consensi al governo sulla politica estera.

Si sbatte la porta in faccia alla sinistra radicale dicendo che in Afghanistan ci si rimane eccome (non potrebbe essere altrimenti)? Si sbatte in prima pagina una bella foto di Prodi con Zapatero, che assieme appaiono così bene, dicendo che sull'Afghanistan si è d'accordo (sic).

L'unica consolazione è che, finalmente, pare essere giunto il giorno tanto atteso da noi tutti. Pronto, ovviamente, ad essere smentito: lorsignori non hanno ancora maturato la pensione, in questa legislatura.

lunedì, febbraio 19, 2007

Tutti contro tutti

No-base contro governo, governo contro sindacati, sindacati contro terroristi, terroristi contro governo, no-global contro coop rosse, commedianti contro governo, governo contro se stesso. Contro l'Italia.

sabato, febbraio 17, 2007

Allora è tutto vero

Prodi ed i suoi kompagni chiamano, gli spaccavetrine rispondono: Vicenza passa indenne questa giornata che giornalisti e ministri dell'Interno dipingevano come una Genova-bis.
Bello, bello. Una volta di più, alla prossima auto che va a fuoco sappiamo da chi andare.

Intanto, registriamo il nulla di fatto nella manifestazione di sabato passato: il corteo, per cominciare, è stato ben lontano dall'essere "oceanico" (c'erano molte, ma molte più persone in piazza contro Prodi e le sue tasse); secondo, Prodi ha detto che non gliene frega nulla dei no-base (e come poteva essere altrimenti, mica l'ha decisa lui 'sta cosa); terzo, già oggi della questione non parla più nessuno. Siamo rimasti solo noi a commentarne il fallimento, voci nel deserto.

giovedì, febbraio 15, 2007

«Berlusconi fa schifo»

Sembra uno slogan da scuola media di un quarto di secolo fa, tipo che so... "W LA GNAGNA" o "ABBASSO LA MAESTRA", eppure è l'espressione usata dal segretario dei Comunisti Italiani Oliviero Diliberto nei confronti dell'ex-premier.
Che dire, tutto un programma. Fallito su tutta la linea, chiuso sotto chiave da Prodi per la giornata di sabato a Vicenza, incapace di una parola di distinguo convincente nei confronti delle nuove BR, ultimo tra gli ultimi che possono rappresentare uno straccio di politica in questo disgraziato paese, il Nostro non trova di meglio che sbattere i piedi e scribacchiare sul muro del cesso il suo insulto puerile. Chissà, forse voleva farci ridere. Almeno speriamo che sia così.

mercoledì, febbraio 14, 2007

Il Dio di Rosi

"Io amo pensare alla Chiesa che si occupa delle cose di Dio", chiosa Rosi Bindi dall'India.
In questa frase sta tutta l'ignoranza e l'arroganza dei sedicenti "cattolici" che non solo di cattolico non hanno neppure la parvenza, ma che dimostrano di non essere neanche cristiani. Il pensiero della Bindi, elaborandolo, suona così: "La Chiesa, e di conseguenza Dio del Quale la Chiesa è Corpo Mistico, non rompa le palle sfrugugliando i nostri diritti sociali e culturali ma si limiti a badare alle cose di lassù; che quaggiù ce la caviamo benissimo da soli".
Mi tocca sfiorare la bestemmia, e me ne scuso con i lettori, ma il Dio di Rosi Bindi se vuol mettere bocca nel suo disegno di legge si deve mettere in fila e presentare un'interrogazione parlamentare, che verrebbe ormai necessariamente dopo quelle mosse da Grillini, da Luxuria e da altre entità di questo calibro, che pure loro hanno di che protestare in materia.

martedì, febbraio 13, 2007

Prodi ed il "governo serio"

Fa sempre tenerezza leggere le dichiarazioni di Romano Prodi quando non sa come barcamenarsi nel casino che regna sovrano nel suo esecutivo.

L'ultima chicca è il concetto che il nostro esprime da in quel dell'India circa la manifestazione a Vicenza contro l'allargamento della base Ederle: in sostanza il premier, vietando ai suoi ministri di partecipare alla manifestazione, dice che è meglio che si trovino un sistema "sereno" per manifestare il loro dissenso. Come a dire che la manifestazione tanto "serena" non sarà.

Dice che serve ad «evitare che il governo manifesti contro sé stesso». Già, come se ci fosse bisogno del palcoscenico di Vicenza per dimostrare il dato di fatto. Chissà, forse nell'intima serenità di Palazzo Chigi si ammazzeranno di legnate. Anzi, togliamo il chissà.

L'ultimo, triste sorriso di compassione Mr. Prodi ce lo strappa quando, compulsivamente, ripete: «La decisione [di concedere l'allargamento della base, ndr] è stata presa da un governo molto serio». Eh già.

Relativismo

Ma tu guarda un po' se D'Alema si deve difendere da neanche troppo velate accuse di fascismo...

lunedì, febbraio 12, 2007

Le fondamenta minate

Ci sembra, a volte, di scivolare nel ridicolo tanto ovvie paiono certe osservazioni che siamo forzati a contrapporre ad altrettante prese di posizione cui si vien fatti più bersagli che interlocutori. Ma il sense of houmor non ci manca, ci prestiamo quindi volentieri al banale giochino.
Ci vien detto: la società cambia. Va bene, cosa vuol dire? Che sta evolvendo? Sta migliorando? Andiamo a vedere.
Si vocifera che la "società" sia fatta da esseri umani e si vocifera anche - guarda un po' - come gli esseri umani non nascano sotto i cavoli e non spuntino come le margheritine, ma che (attenzione!) ci sia bisogno che un uomo e una donna copulino più o meno allegramente al fine di generare uno o più figli, i quali dopo nove mesi di vita come ospiti della mamma di turno, vengono al mondo eccetera eccetera. Le stesse fonti bene informate ci assicurano che, una volta nati, 'sti piccoli umani - a differenza delle mosche e delle tartarughe, ma alla stregua di tanti altri simpatici animaletti - abbiano un certo bisogno di una buona dose di cure sia fisiche (latte più o meno materno, protezione, calore e cose così) che psicologiche (coccole, sorrisi, identificazione dei volti, odori, sicurezza, melodia delle voci e cose cosà). Ma pensa te.
Andando avanti, salta fuori la storia della figura paterna e del suo ruolo di temuta e adorata fonte di sicurezza, l'altra diceria sulla contrastata visione di amorevole inflessibilità che i bambini hanno della mamma, l'assurda pretesa che la combinazione dei due ruoli ed il loro difficile dosaggio siano l'humus fertile nel quale mette radici la personalità del piccolo umano, e via e via e via.... Bah.

A guardarsi attorno, c'è da credere che tutto quel che (fino a "ieri") sembrava scontato, mo' è diventato non solo sbagliato, ma persino innominabile. Miracoli del progresso, evidentemente. Mo' salta fuori che la base della società non è la famiglia (mi fa senso usare il termine "tradizionale", tanto è inutile), ma qualsiasi forma di accozzaglia "amicale", un qualsiasi muretto di paese può diventare il nuovo cardine sul quale fondare il futuro nostro e dei nostri disgraziatissimi figli (cfr. alla voce "DiCo").
L'ISTAT dice che si si sposa sempre di meno, ci si divorzia sempre di più, ci si risposa sempre più frequentemente. Progresso.
Quel che l'ISTAT non dice, dandolo forse per scontato, è che il numero di figli senza famiglia in conseguenza di quanto sopra è in mostruoso aumento, l'abbandono scolastico è altissimo nei ragazzini orfani (e per essere orfani non c'è bisogno che ti muoia un genitore, capisciammé), così come la tendenza alla delinquenza, al "bullismo", al "disagio sociale", alle "difficoltà di relazione ed integrazione": tutti termini politically correct per indicare dei piccoli, sfortunati bastardi nel senso più compiuto del termine.
E veniamo quindi al nostro giochino sul lapalissiano: dove porta la strada della disgregazione dell'unico sistema che si conosce affinché la società possa auto-sostenersi, cioè un legame per quanto possibile stabile tra un uomo ed una donna, costruito ed alimentato nell'ottica di creare quel focolare domestico ove concepire e crescere l'unico frutto utile alla società medesima, i propri figli, a loro volta educati all'afferrare questo concetto ed al riproporsi come ricevitori del testimone e abili e arruolati per il giro che competerà loro? Cosa succede se sostituiamo alla coppia normale le coppie anormali tanto care ai sedicenti progressisti? Chi paga il prezzo della presunta "liberazione" dai "vincoli del Vaticano" degli adulti - a parte i soliti, disgraziatissimi, eventuali bambini? Eh? C'è bisogno di dirlo? Si? OK.
La società. Proprio quella stessa che si pretende di far evolvere, con questo sistema si uccide. E non perché lo dice Ratzinger, abusato spauracchio. E non perché lo dico io, povero me. Perché lo dicono la ragione e la logica, quella stessa ragione che sembra essere affossata nel più profondo dei buchi, sommersa da melmosi strati di relativismo equamente equidistante ed equivicino; quella medesima logica stravolta da chi, pur non avendo la più pallida idea di cosa voglia dire avere una famglia vera (in qualsiasi direzione si cerchi di navigarne il rattrappito e sfigatissimo albero genealogico), pur di pagare pegno al pensiero dominante non si fa scrupolo di indottrinare il prossimo, facendogli credere di star raggiungendo vette di libertà, quando lo sta in realtà trasformando in una patetica legione di lemmings, il cui unico possibile futuro è il tardivo e classico grido "OH, NO!" un attimo prima del botto finale, con la testa tra le mani.

E allora. E' la società che cambia, o è l'uomo che la cambia? Cos'è, il concetto che sia sempre l'uomo a causa di tutto vale solo per i cambiamenti climatici e la CIA, mentre in quest'altro caso esso è solo vittima di ciò che, onnipotente ed inevitabile, tutto decide e tutto comanda: la Società? E che sarà mai 'sta Società, Dio?

Ops...

mercoledì, febbraio 07, 2007

Delitto politico?

Nell'ambito delle indagini italiane sull'uccisione di Nicola Calipari, il giudice per le indagini preliminari Sante Spinaci ha definito il fatto «omicidio politico e volontario».

Ora, non risulta da nessuna parte che il gup abbia in mano prove tali da per poter affermare che la pattuglia americana posizionata sulla strada per l'aeroporto sapesse chi fossero gli occupanti dell'auto poi crivellata; di conseguenza, non risulta da nessuna parte che abbia in mano le prove della "volontarietà" nel voler uccidere proprio Calipari e la Sgrena.

Ne consegue che la definizione "omicidio politico", seppur roboante e musica per le orecchie di chi sappiamo noi, è non solo con tutta probabilità campata per aria, ma traccia già un percorso di condanna oserei dire preventiva nei confronti del "private" americano.

martedì, febbraio 06, 2007

Ostaggi di serie B

Cos'è, i sigg. Arena e Russo non sono affascinanti come le sigg.ne Pari e Torretta?
Cos'è, i sigg. Arena e Russo non sono acculturati come la sig.ra Sgrena?
Cos'è, i sigg. Arena e Russo non "lavorano" per "Un Ponte Per", non sono giornalisti del Manifesto, ma sono solo operai in una sporca multinazionale del petrolio, quindi in fondo in fondo un po' se lo meritano?
Cos'è, i sigg. Arena e Russo sono stati rapiti a 25.000 Km dal marine più vicino, quindi sai che c'è, chissenefrega?
Forse è così, forse si spiega perché non vedo veglie in Campidoglio, gigantografie con fiaccolate votive e cose così. Forse si spiega perché i sigg. Arena e Russo la gente non sa manco chi sono.

giovedì, febbraio 01, 2007

Traditi dalla democrazia

Solo ieri l'altro Fausto Carioti ci scuoteva dalle colonne del suo blog rilanciando la notizia dell'incursione di un giornalista inglese nelle moschee d'oltremanica, a caccia della verità nascosta sugli imam e sulle loro prediche.

Di oggi la notizia (grazie a Magdi Allam, l'unico che ha il "coraggio" di darla) che simili blitz sono stati compiuti anche nel nostro Paese, e più precisamente a Roma, Varese e Milano: due "inviati" di SkyTG 24 hanno registrato i sermoni con una micro-telecamera nascosta e, com'era intuibile, ne sono venute fuori delle belle.

A Milano, nell'ormai tristemente famosa moschea di viale Jenner, l'imam - tale Abu Imad - ha spiattellato quello che noi si va ripetendo da anni, ottenendo in risposta scherno e sberleffi (quando non offese) da parte dei veri o sedicenti benpensanti: che l'Islam, in Italia, non è un sottoprodotto dell'immigrazione clandestina e non; l'Islam, in Italia, è il grimaldello che sta scardinando la nostra società civile, culturale, politica e religiosa con il palese obiettivo finale di fare del nostro Paese uno stato islamico.

E Abu Imad va oltre, indicando chiaramente quali sono i migliori alleati di questi crociati al contrario: la Costituzione e la sinistra. Non avevamo dubbi: per noi mediamente cerebromuniti, nessuna sorpresa.

La prima, in quanto strumento di vera libertà e democrazia, ci rende vulnerabili nei confronti di chi questi due termini non sa neanche lontanamente dove stiano di casa; come il poliziotto di fronte al teppista (il primo ci prende mediamente le botte nonostante il manganello e l'elmetto) o il mondo civile di fronte ad Al Qaida (o come diavolo la si vuol chiamare - ti buttano giù le torri, ma devi passare per l'Onu se pensi di incazzarti) o Pollari di fronte a Abu Omar.

La seconda, in quanto ovviamente e biecamente interessata a sfruttare l'effetto populista dell'Islam per contribuire a placare la sua insaziabile fame di individui votanti, salvo poi coprire la melma con lo straccio del politicamente corretto.

Con buona pace di chi ancora crede (o fa finta di credere) nell'integrazione, nel multilateralismo, nell'equidistanza; a cominciare dalla Chiesa per finire con l'ultimo comunistello di provincia.

A quando una presa di coscienza?

Il Bivio di Vicenza /2

La spinosa questione della base USA di Vicenza continua la sua implacabile opera di demolizione del già comatoso governo Prodi-II.
Il ministro della difesa, Arturo Parisi, è stato oggi ufficialmente "scaricato" al Senato dalla maggioranza di centrosinistra, che dovrebbe sostenerlo, nel momento in cui la medesima ha votato contro una mozione (presentata da Roberto Calderoli - Lega) che sosteneva le comunicazioni del governo sulla questione. Ricordiamo, per inciso, che il governo si era orientato decisamente verso la concessione all'allargamento della base, in continuità con quanto stabilito dal governo Berlusconi.
Il voto contrario, peraltro, non è bastato: l'Unione è andata sonoramente "sotto" (grazie ai soliti senatori a vita) ed il tentativo di censura verso il suo stesso governo è fallito miseramente. Anche grazie a senatori dell'Ulivo, come Natale D'Amico (Dl): «Rimango convinto del fatto che la maggioranza abbia sbagliato votando contro. C'è un limite ai tatticismi».
L'Unione, dolorante, si è subito dopo approvata (con i suoi soli voti, la CdL aveva abbandonato l'aula) una "mozione-pezza" dal sapore, a posteriori, francamente ridicolo.
Ancora una volta, il centro-sinistra si rivela SINISTRAcentro; contro i suoi stessi interessi, contro ogni logica di governo, contro ogni decenza nei confronti dei cittadini e del mondo.
Attendiamo fiduciosi il prossimo capitolo del romanzo "Il Bivio di Vicenza", chissà che non sia l'ultimo.

lunedì, gennaio 15, 2007

Il bivio di Vicenza

Entro il 19 gennaio (o giù di lì) Prodi dovrà decidere da che parte gettare il cerino acceso dell'ampliamento della base USA di Ederle , Vicenza. Gli accordi risalgono alla precedente legislatura, i progetti sono fatti da tempo, già decine di milioni di dollari sono stati investiti e centinaia (si parla di circa 500) sono pronti a piovere sull'area, sia per costruire la base - che prevede l'adeguamento di un piccolo aeroporto civile esistente, che per le necessarie infrastrutture circostanti (strade, ponti, raccordi autostradali, barriere antirumore, servizi, uffici, alloggi, eccetera). Dovrà insediarvisi la 173° Brigata Aviotrasportata, circa 1800 soldati oggi già in territorio UE, ma sparpagliati.
Se lo getterà a sinistra (come probabile che accada), sarà ovviamente per non "tradire" i kompagni della maggioranza massimalista dell'Unione; così facendo, però, darà uno schiaffo senza precedenti agli USA e, con tutta probabilità, metterà la parola fine alla presenza statunitense sul nostro territorio, almeno per quanto concerne i nuovi arrivi.
Se lo getterà a destra, salverà la faccia (sua e del Paese), rispetterà gli impegni da esso presi e darà una mano a combattere il terrorismo (la 173° è una "forza di intervento rapido") ma perderà le chiappe, a furia di mozzichi da Diliberto, Scanio, Giordano e kompagni.

Ma già sappiamo quale sarà la sua exit strategy da questa spinosa questione: dire no, e tentare di addossare la colpa ai cittadini (dicendo che in realtà sono loro a non essere d'accordo).

**UPDATE** Come era prevedibile, sulla questione nell'Unione (sic!) è un tutti-contro-tutti.

giovedì, gennaio 04, 2007

Freccero e il relativismo mediatico

«E' un film molto interessante sulla violenza del potere, un potere primordiale e premoderno come quello di oggi. La riprova è nel fatto che perfino le immagini di Saddam con il cappio al collo siano state diffuse con sufficiente indifferenza e che Bush abbia identificato nell'esecuzione del rais la pietra miliare di quella democrazia che l'Occidente si è incaricato di instaurare in Iraq. Se avessimo dovuto vietare il film, allora avremmo dovuto spegnere i tg dal 2001. Dopo le torture nel carcere di Abu Ghraib, è imbarazzante fare ragionamenti di questo tipo.»

Queste le parole di Carlo Freccero, ex-direttore di RAI DUE ed ora "esperto di televisione", interrogato circa la scelta di non vietare nemmeno ai minori di 14 anni il film Apocalypto, ultima fatica di Mel Gibson. Il film narra le ultime fasi dell'esistenza della civiltà Maya ed è, come intuibile conoscendo sia la storia trattata che il regista, un film estremamente crudo.
La commissione che mette la censura per i minori sui film, monca e divisa, non ha raggiunto un parere unanime e la decisione è stata presa a maggioranza (di fatto dai soli rappresentanti le case cinematografiche).

Ora che sapete di cosa si parla, rileggete le parole di Freccero. E rabbrividite.