Vorremmo essere tutti francesi
Che invidia. Il breve discorso che Nicolas Sarkozy ha pronunciato pochi minuti dopo la sua bellissima vittoria nella corsa all'Eliseo ha scaldato e riacceso gli animi. Certamente il mio, e spero vivamente quello di tutti i miei concittadini come me impantanati in questa piccola, patetica, triste italietta tutta conflitto di interessi, coordinatori e scissioni.
Che invidia. Sentire un leader parlare di diritti dopo i doveri, di sicurezza, di orgoglio nazionale, di rispetto e libertà, di aiuto reciproco e di responsabilità, di pacchia finita per i mangiapane a tradimento... e non doversi vergognare, giustificare, scusare per l'aver goduto di un discorso subito messo all'indice come nazifscista dai soliti farisei, se fosse successo in Italia.
Che invidia. Vedere le facce della gente felice, con gli occhi pieni di gioia e speranza, con davanti una strada nuova, col '68 ed i suoi rottami ideologici finalmente sulla via del cesso, col politicamente corretto frantumato dal coraggio delle parole, con l'Europa finalmente messa a nudo per quel covo di mollicci burocrati succhiasangue buoni solo a determinare la dimensione giusta per le banane, e forse manco per quello.
Che invidia. Noi qui a straziarci di tesoretto, emergenze preventive, fusioni fredde, scissioni calde, leadership e coordinatori, centri e non c'entri, conflitti di interesse e bancarelle rovesciate, Cogne e Telecom-che-no-agli-yanlees-ma-si-a-zapatero, Enzo Biagi e Beppe Grillo.
Siamo vent'anni indietro; se non altro, quelli di età che passano tra uno come Sarko ed il reparto geriatrico che ci portiamo appresso da sessant'anni a questa parte.
Che invidia. Vorrei essere francese, oggi.
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