La madrasa dei terroristi
Il 30 ottobre una scuola coranica nei pressi di Chenagai (provincia del Bajaur) viene rasa al suolo da un bombardamento aereo, si vocifera di ottanta morti. Una carneficina.
Immediatamente, il tam-tam mediatico diffonde la notizia di studenti e professori innocenti trucidati dagli americani; poi, salta fuori che a colpire sono stati cinque missili lanciati da elicotteri pakistani; infine, Musharraf dice che le vittime sono tutti terroristi che usavano quella scuola come covo, anzi che quella era una importante base di al-Qaeda.
Ovviamente, nessuno gli crede. Migliana di pakistani scendono in piazza per protestare contro gli USA e le stragi di civili innocenti. Rappresentanti delle fazioni islamiche pachistane (e non solo) parlano in TV di «crimine imperdonabile». Si tuonano anatemi, fatwe e maledizioni all'indirizzo degli Stati Uniti [sic!] e si inneggia al jihad, mullah e muezzin si scatenano nell'aizzare le folle e giù a bruciare bandiere mentre si piangono i "fratelli innocenti". «We were peaceful, but the government attacked and killed our innocent people on orders from America» ha gridato Faqir Mohammed, vice di al-Zawahiri e scampato per miracolo mezz'ora prima dell'attacco. Qazi Hussain Ahmed, leader politico all'opposizione in Pakistan, giura che tra i morti ammazzati ci sono almeno trenta bambini; aggiunge poi che «it was an American plane behind the attack and Pakistan is taking responsibility because they know there would be a civil war if the American responsibility was known», cantandosela e suonandosela come meglio non poteva.
Cose già viste.
Ovviamente, anche in questo caso era tutto vero: la madrasa era un campo di addestramento per terroristi di al-Qaeda, e neanche uno di secondo piano. Se quelli che si vedono nel video sono studenti durante la ricreazione, io mi chiamo Osama.
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