Avatar: un film per spettatori adulti
Meglio tardi che mai, finalmente ho visto Avatar 3D al cinema, il film-evento che ha stracciato ogni record al botteghino e che ha segnato una svolta nel campo del cinema di fantascienza.
Del film si è parlato in tutte le salse, per cui aggiungerò qui solo qualche considerazione personale. Si è detto, ad esempio, che è un film ecologista, panteista, anti-occidentale, terzomondista, politicamente corretto. Tutto vero.
Infatti, se da un lato strappa sinceri moti di stupore per l'incredibile realismo (parlo della versione 3D) ed affascina per la poesia bellissima - ed a tratti sublime - con la quale sono presentati il mondo alieno Pandora e tutti i suoi abitanti (non solo i Na'vi), il contrasto con la rozzezza, l'avidità eletta ad icona, la profonda insensibilità che scivola a tratti nel cinismo, se non nel sadismo, con i quali sono tratteggiati gli esseri umani (i veri "alieni" del film) dipinge un lapidario atto d'accusa nei confronti - evidentemente - dell'Uomo Occidentale, delle sue Macchine, dei suoi Soldi, in definitiva dei suoi valori distorti latori di morte e distruzione indiscriminate e subordinate unicamente alla logica del profitto.
Per carità, anche qui (quasi) tutto vero. Ma c'era veramente bisogno di un altro film-denuncia dell'Occidente contro se stesso, soprattutto in questo momento storico nel quale la crisi d'identità e l'autolesionismo colpevolista sta annichilendo secoli di progresso, favorendo società e culture di fatto ferme al Medioevo, e per di più gratuitamente? Momento storico nel quale la religione pagana dell'ambientalismo è al suo culmine, portando a storture impresentabili e che gridano vendetta di fronte alla Storia ed alla Scienza come il premio Nobel ad Al Gore e la bufala epocale del "global warming" antropico?
Sembra quasi che l'Uomo Occidentale senta l'irrefrenabile bisogno di auto-flagellarsi a prescindere e senza perdere una singola occasione, ergendo totem di volta in volta a forma di indiani d'America, di iracheni, di disabili in carrozzella. Ed è una pratica particolarmente in auge nel luccicante mondo hollywoodiano, probabilmente usata per controbilanciare gli osceni guadagni che personaggi come James Cameron ed aziende come la 20th Century Fox lucrano con operazioni come quella di Avatar (più di 2 miliardi di dollari di incasso in tutto il mondo, a fronte di una spesa di circa 350 milioni tra produzione e promozione). Per carità, niente di intrinsecamente sbagliato. Ma di stridente, sì.
Certamente, a ben guardare il film si presta ad interpretazioni anche diametralmente opposte: l'insinuarsi all'interno di una società sostanzialmente ignara con stratagemmi più o meno subdoli, come il telecomandare un ibrido geneticamente artificiale per gabbare il popolo idiota e piegarlo alle proprie volontà, ricorda molto da vicino l'invasione silenziosa e strisciante della civiltà islamica nel cuore di quella occidentale, operazione nella quale gli "avatar" sono costituiti dalle donne europee sposate e poi abbandonate (o peggio) e dai loro figli usati poi come grimaldello generazionale per scardinare le società del Vecchio Continente un pezzo alla volta. Ma non è di certo questa l'idea che balena nella mente dello spettatore medio di fronte alla storia di Jake e Neytiri, non ci vuole un genio per capirlo.
Ecco perché Avatar è un film per adulti: per spettatori adulti, a voler essere precisi. Spettatori, cioè, in grado di metabolizzare l'opera di Cameron godendone la bellezza mozzafiato, sentendone le profonde emozioni, vivendone l'incredibile coinvolgimento sensoriale senza però abdicare al messaggio veicolato, evitando quindi di finire per sentirsi un esemplare del virus che infetta l'organismo globale Pandora/Gaia e che ha davanti a sé come unica via d'uscita e di espiazione l'annientamento, culturale e - se non basta - fisico.
Del film si è parlato in tutte le salse, per cui aggiungerò qui solo qualche considerazione personale. Si è detto, ad esempio, che è un film ecologista, panteista, anti-occidentale, terzomondista, politicamente corretto. Tutto vero.
Infatti, se da un lato strappa sinceri moti di stupore per l'incredibile realismo (parlo della versione 3D) ed affascina per la poesia bellissima - ed a tratti sublime - con la quale sono presentati il mondo alieno Pandora e tutti i suoi abitanti (non solo i Na'vi), il contrasto con la rozzezza, l'avidità eletta ad icona, la profonda insensibilità che scivola a tratti nel cinismo, se non nel sadismo, con i quali sono tratteggiati gli esseri umani (i veri "alieni" del film) dipinge un lapidario atto d'accusa nei confronti - evidentemente - dell'Uomo Occidentale, delle sue Macchine, dei suoi Soldi, in definitiva dei suoi valori distorti latori di morte e distruzione indiscriminate e subordinate unicamente alla logica del profitto.
Per carità, anche qui (quasi) tutto vero. Ma c'era veramente bisogno di un altro film-denuncia dell'Occidente contro se stesso, soprattutto in questo momento storico nel quale la crisi d'identità e l'autolesionismo colpevolista sta annichilendo secoli di progresso, favorendo società e culture di fatto ferme al Medioevo, e per di più gratuitamente? Momento storico nel quale la religione pagana dell'ambientalismo è al suo culmine, portando a storture impresentabili e che gridano vendetta di fronte alla Storia ed alla Scienza come il premio Nobel ad Al Gore e la bufala epocale del "global warming" antropico?
Sembra quasi che l'Uomo Occidentale senta l'irrefrenabile bisogno di auto-flagellarsi a prescindere e senza perdere una singola occasione, ergendo totem di volta in volta a forma di indiani d'America, di iracheni, di disabili in carrozzella. Ed è una pratica particolarmente in auge nel luccicante mondo hollywoodiano, probabilmente usata per controbilanciare gli osceni guadagni che personaggi come James Cameron ed aziende come la 20th Century Fox lucrano con operazioni come quella di Avatar (più di 2 miliardi di dollari di incasso in tutto il mondo, a fronte di una spesa di circa 350 milioni tra produzione e promozione). Per carità, niente di intrinsecamente sbagliato. Ma di stridente, sì.
Certamente, a ben guardare il film si presta ad interpretazioni anche diametralmente opposte: l'insinuarsi all'interno di una società sostanzialmente ignara con stratagemmi più o meno subdoli, come il telecomandare un ibrido geneticamente artificiale per gabbare il popolo idiota e piegarlo alle proprie volontà, ricorda molto da vicino l'invasione silenziosa e strisciante della civiltà islamica nel cuore di quella occidentale, operazione nella quale gli "avatar" sono costituiti dalle donne europee sposate e poi abbandonate (o peggio) e dai loro figli usati poi come grimaldello generazionale per scardinare le società del Vecchio Continente un pezzo alla volta. Ma non è di certo questa l'idea che balena nella mente dello spettatore medio di fronte alla storia di Jake e Neytiri, non ci vuole un genio per capirlo.
Ecco perché Avatar è un film per adulti: per spettatori adulti, a voler essere precisi. Spettatori, cioè, in grado di metabolizzare l'opera di Cameron godendone la bellezza mozzafiato, sentendone le profonde emozioni, vivendone l'incredibile coinvolgimento sensoriale senza però abdicare al messaggio veicolato, evitando quindi di finire per sentirsi un esemplare del virus che infetta l'organismo globale Pandora/Gaia e che ha davanti a sé come unica via d'uscita e di espiazione l'annientamento, culturale e - se non basta - fisico.
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