venerdì, maggio 30, 2008

Malati di Sindrome del Pigneto

Chi non ha vissuto gli anni '70 non può certamente capire quello che sta succedendo in questi giorni all'Università la Sapienza di Roma. E i primi a non poterlo capire sono proprio loro, gli studenti. Anche quelli che andrebbero scritti tra moltissime virgolette, quelli dei "collettivi", quelli di sinistra, i militanti.
Quelli che stanno instaurando un clima di terrore nell'Ateneo: o ci si piega alle loro logiche fasciste, illiberali, violente e antidemocratiche oppure "so' cazzi tua". Quelli che impediscono al Papa di parlare ma che invitano e coccolano gli imam e Ahmadinejad. Quelli che impediscono a Roberto Fiore di parlare ma che da decenni occupano (anzi, okkupano) ogni angolo di quel posto. Quelli che sequestrano il Preside della Facoltà di Lettere (da sempre il covo più profondo "de quelli de sinistra", con quella scalinata sempre ingombra di bivaccanti code di cavallo, kefiah al collo, capelli rasta, borse di pelle scamosciata altezza ginocchio, barbe incolte, occhialetti tondi e stracci vari) e che lo minacciano mentre cercano di sfondare la porta della stanza dove il poveretto aveva trovato riparo. Quelli che sono "non violenti", quelli "buoni", quelli "bravi", quelli "onesti". Quelli là.
Non possono capire cosa sta succedendo perché sono sbarbatelli con la puzza di latte, coccolati troppo da famiglie benestanti ma sfasciate, annoiati da un mondo che li rifiuterà come inutili e contro il quale preventivamente ed ottusamente si scagliano, tirandosi sui piedi una zappa da una tonnellata.
Ma non aspettavano altro, loro, per mettere in scena quello che tante volte hanno sentito dire da chi, ex-sessantottino ora alle prese col mutuo e con la quarta settimana - quando non con due figli adolescenti che gli rendono pan per focaccia, ha raccontato loro sotto forma di gesta eroiche di liberazione dal giogo borghese e fascista.
E un bel pezzo della società invece di emarginarli come meriterebbero, li supporta, li fomenta, li giustifica. Costruisce loro intorno un inesistente clima da nuovo Ventennio (se solo sapessero!), li fa incazzare (che poi non è difficile, frustrati come sono) con sceneggiate mediatiche come quella del Pigneto e poi lascia che si sfoghino per poter poi gridare all'emergenza democratica col ditino puntato e giustificare così la propria inettitudine esorcizzando l'inevitabile scomparsa con disonore che ha di fronte e che è - grazie al Cielo - già a buon punto. L'Italia non può permettersi simili giochetti.
Come diceva Ennio Flaiano, "il fascismo è costituito da due grandi gruppi: i fascisti e gli antifascisti". I primi sono scomparsi massicciamente da sessantacinque anni e definitivamente da trenta, i secondi purtroppo sono scomparsi solo dal Parlamento, ma fuori vengono ancora coltivati con amore.

[Immagine tratta da: mauropiadi.splinder.com]

giovedì, maggio 22, 2008

Le bugie del Corriere su Chicco Testa

Che il Corriere della Sera, anche e soprattutto per mezzo della sua emanazione Web, fosse tutto meno che una testata indipendente e generalizia lo si era capito già da tempo, già dagli "outing" del suo direttore a favore di Prodi prima e di Veltroni dopo. Ma che potesse arrivare a bassezze degne di un fogliaccio estremista, questo proprio non me l'aspettavo.
Se cliccate qui trovate l'audio di una breve intervista fatta da Valentina Conte a Chicco Testa, sotto l'incredibile titolo: "Per il nucleare da noi la strada è in salita". Ovviamente, basta ascoltare il breve brano con la viva voce di Testa per rendesi conto che la sua posizione è esattamente opposta a quanto il titolo vorrebbe far credere: infatti, quando Testa accenna alla "salita" lo fa riferendosi alle inevitabili opposizioni che il ritorno al nucleare troverà da parte dei soliti noti.

Un consiglio al Corriere: eviti accuratamente queste bassezze alla Travaglio, gli italiani non sono così deficienti. Gli italiani sanno molto bene, invece, che questo è il pensiero di Chicco Testa. L'altro è forse quello di Paolo Mieli, del quale - con tutto il rispetto - frega nulla a nessuno. E men che mai se fosse invece quello della giornalista: prendere un Master in Giornalismo all'Università di Milano non significa prendere la licenza di ingannare il prossimo.

lunedì, maggio 19, 2008

Beh, adesso basta

E sono tre: prima la vice di Zapatero che ci da degli xenofobi, poi quell'altro che dice che ci piace criminalizzare i diversi, infine la terza che sembra Di Pietro biondo e con la gonnella. Aho, che è il tiro al piccione?
Eh, qui mi sa che troppa paella, sangria e troppo sole hanno fatto andare un po' in palla 'sti ministri chiacchieroni... prendessero tutti un'Alca-Seltzer e dessero una letta allo sbugiardante Occidentale, che di papere starnazzanti ne abbiamo già abbastanza qui da noi, senza bisogno di importarle dall'estero.
Ola compañeros, damose 'na calmata né?

...e visto che lo spagnolo non lo conosco, ma Google si, beccateve pure la traduzione automatica:

Y son tres: el primer diputado de Zapatero que nos da xenófobos, entonces el otro que dice que nos gusta a criminalizar diferentes, por último, la tercera que parece a Di Pietro y rubio con una falda. Aho, que es la paloma de disparo?
Bueno, aquí yo sé que el exceso de paella, sangría y demasiado sol hizo ir un poco 'bola en el' sti ministros chiacchieroni ... tomó todas las un'Alca-Seltzer y dio un vistazo a sbugiardante L'Occidentale, que los patos starnazzanti tenemos suficientes aquí, sin necesidad de importarlos del extranjero.
Ola compañeros, damose 'na ni calmado?
Hasta la vista.

sabato, maggio 17, 2008

E un Campo Italiani sotto casa?

Alla signora Viktória Mohácsi, onorevole Rom europarlamentare strapagata, che si è così schifata nel vedere cosa c'è dentro al "Casilino 900" e che definisce una "realtà orribile" non già la fogna che i suoi conterranei si portano appresso fin nella mia città bensì i "bambini di terza generazione che non hanno diritti di cittadinanza", vorrei caldamente, sinceramente e cordialmente augurare di ritrovarsi un giorno un bel Campo Italiani sotto casa sua a Berettyóújfalu, puzza "orribile" e bambini figli di nessuno compresi.
Che contasse pure le generazioni, allora: quando avrà finito, faccia pure un fischio che la veniamo a raccattare.

mercoledì, maggio 14, 2008

Six Degrees

Incredibile a dirsi, Travaglio è riuscito nell'impresa che nessuno avrebbe mai immaginato: inimicarsi un collega di tutto rispetto come Giuseppe D'Avanzo. Che, in quanto a giornalismo d'assalto, di gusto spesso discutibile, è ben noto non essere secondo a nessuno, assieme al collega Bonini.


Complice l'attacco a testa bassa alla "casta" dei giornalisti (come se lui, Travaglio, fosse un fruttivendolo) perpretato assieme a Beppe Grillo ed ai suoi autori (Gomez, ecc.), D'Avanzo s'è sentito evidentemente punto sul vivo ed ha dato voce a ciò che tutte le persone minimamente oneste intellettualmente sanno, e cioè che Travaglio la fa costantemente fuori dal vasino. Del resto si sa: quando deve essere mandato in stampa un nuovo libello, serve un po' di palcoscenico.
Insincero, qualunquista, giornalista disonesto, mosso da interessi commerciali particolari, autore di spettacolini pirotecnici, vile, grossolano, cinico manipolatore, avvezzo a storti espedienti, secernente veleno: non ci è andato leggero, D'Avanzo, come del resto ci si poteva aspettare da uno del suo calibro. Ma va anche oltre: mette in campo una cosa nella quale è molto abile, lo scavare nella vita altrui per pescarne le magagne. Ed infatti, scava scava, trova una bella "collusione mafiosa" a scoppio ritardato pure per Travaglio, del tutto simile a quella che quest'ulitmo ha usato per diffamare Schifani.

Viene in mente la teoria dei Sei Gradi di Separazione, secondo la quale al massimo cinque "intermediari" di qualsiasi tipo separano qualsiasi essere umano da qualsiasi altro: siamo tutti mafiosi, dunque, "ma anche" tutti papi, centometristi, minatori, precari, parenti di Jean-Cyril Spinetta, aborigeni e vicini di casa di Travaglio. Con la differenza che quest'ultimo è riuscito ad estenderla anche nel tempo, oltre che nello spazio.
Miracoli del travaglismo.

**UPDATE del 15/05**
Travaglio ha risposto a D'Avanzo dalle pagine de La Repubblica (casa comune dei due), e lo ha fatto visibilmente "contrariato" e buttando all'aria quell'aura di impassibilità che si era faticosamente e meticolosamente costruita in TV, dove tutto era sotto il suo controllo.
La scomposta reazione per la serie "lei non si permetta di..." mostra in tutto il suo splendore il travaglismo applicato allo stesso Travaglio e chiude la questione una volta per tutte. Adieu.

[Immagine: da Wikipedia]

domenica, maggio 11, 2008

Chi è il fascista?

Ora Grillo sta esagerando, e non lo dice un pavido direttore di TG, lo dico io: il suo sogno, questa sera, è Marco Travaglio Direttore Unico del Canale Unico di Informazione Pubblica. Tutto il resto è illegale.

Direi che è urgente fare ad ambedue un bel discorsetto: Luttazzi, del resto, si sente solo, laggiù, oltre la fascia degli asteroidi.

sabato, maggio 10, 2008

Facciamoci del male

C'è una perversa tendenza, nel centrodestra italiano, all'autolesionismo. Ed è un autolesionismo pericoloso e profondo, giacché origina da un profondo complesso di inferiorità nei confronti della sinistra.
Già, proprio quella sinistra italiana triste, anacronistica, sempre perdente, incapace di imparare dai propri errori, schiava delle lobbies, illiberale, presuntuosa, pedante ed antipaticissima. Eppure, così convinta della propria superiorità antropologica, culturale, morale, sociale, mentale, fisica ed estetica. Talmente convinta che ogni volta che una tornata elettorale la ricaccia nel buco dal quale è uscita (e nel quale è storicamente giusto che rimanga) riesce a fare fesso qualche esponente in vista del centrodestra che, masochisticamente, le tende una mano grande così dandole di fatto ragione.
Ci riferiamo, oggi, a tre episodi ben distinti fra loro ma accomunati dal di cui sopra autolesionismo, espresso in tutto il suo splendore.

Primo (andiamo in ordine cronologico): Milano, otto maggio. Il sindaco, Letizia Moratti, aspetta che il rumorosissimo Vittorio Sgarbi - suo assessore alla cultura - stracci pubblicamente quel piccolo supponente antipaticissimo (e pericoloso) di un Marco Travaglio durante una ormai mitica puntata di Anno Zero su RAI DUE per dargli il benservito dalla Giunta a causa di precedenti dissapori.
Dissapori che vengono ovviamente ignorati da tutti: tutti sanno, sono convinti, giurano ed insegnano ai propri figli che Sgarbi è stato licenziato dalla Moratti perché ha osato mandare affanculo Travaglio, e che ha osato farlo nel tempio della sinistra televisiva, al cospetto del massimo sacerdote dell'antiberlusconismo (e della disinformazione, aggiungiamo en passant),cioè il pluritrombato martire Michele Santoro. Orrore.

Secondo: Roma, nove maggio. Il secondo membro più duro d'Italia, il neoministro alla Semplificazione Roberto Calderoli, quello tutto d'un pezzo, lo sprezzante e spavaldo sputtanatore di bacchettoni islamici, quello con la maglietta della discordia in TV ha pensato bene di genuflettersi di fronte alla Fondazione Gheddafi per lo Sviluppo e la Beneficienza (sic) che aveva minacciato l'Italia di tagliare le forniture di gas se il Calderoli medesimo avesse osato presentarsi come Ministro della Repubblica.
Ora tutti sanno che Gheddafi, il temibile tiranno del quale tutte le foche bianche dell'islanda hanno paura, ha fatto chiedere perdono al secondo membro più duro d'Italia, e tutto per una t-shirt. Figuriamoci se Gheddafi decidesse di incazzarsi per l'esclusione di Mario dal Grande Fratello.

Terzo e buon ultimo: sempre nove maggio. Altro neo-ministro, stavolta ai Beni Culturali. Altra icona del centrodenstra, nel bene e nel male. Sandro Bondi, sua eminenza. Ha pensato bene, in occasione dell'intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera di Mieli, di inchinarsi di fronte al peggior gruppo di maître à penser della sinistra antropologicamente superiore, nientemeno che Emberto Eco ("profonda stima"), Nanni Moretti ("l'ho amato"), Paolo Virzì ("me ne parlano bene"), Eugenio Scalfari ("profondo"), Renzo Piano ("lo ammiro"), Massimiliano Fuksas ("un grande"), come se da questi individui il governo Berlusconi avesse qualcosa da elemosinare oltre agli sputi ed agli insulti.

Tutto in due giorni. I primi due giorni di governo. Speriamo che il terzo giorno si riposino. Speriamo che al centesimo non chiamino a sé Romano Prodi come Ministro della Comunicazione, così, tanto per non trattar male nessuno e per toccare nuove vette in questo particolare ed incomprensibile tafazzismo.

venerdì, maggio 09, 2008

C'è chi muore pestato più di altri

Sono due settimane che i giornali, i salotti televisivi, i blog, i settimanali ci ricordano, ininterrottamente, quant'è incivile, quant'è brutale, quant'è esecrabile il pestaggio fascita veronese che ha ucciso Nicola Tommasoli. E giù sermoni, moralismi, invettive, stracciamenti di vesti, fiaccolate, scandalismi, equivicinanze ed equidistanze politicamente corrette, in perfetta sincronia e contro-sintonia con le recenti elezioni, ché l'Italia è sull'orlo della deriva nera.

Ma il povero Tommasoli non è stato il solo.

Ieri, 8 maggio, a Genova - a due passi da piazza Alimonda - il suo "pappa" ha pestato a sangue ed ucciso Violeta, un'immigrata rumena diciannovenne rea di non guadagnare abbastanza battendo i marciapiedi. Gheorghe Tanasa, questo il nome del trentaduenne assassino e convivente, quando l'ha vista rincasare già alle due del mattino con pochi soldi in tasca l'ha massacrata di calci e pugni spezzandole alla fine il collo.

Ma Gheorghe Tanasa non è fascista, Violeta non era un mite lavoratore colla coda di cavallo e tutti e due non erano, in fondo, che due rumeni: e così nessun giornale, nessun salotto televisivo, praticamente nessun blog (tranne Orpheus), nessun settimanale ce lo sta ricordando già a meno di ventiquattro ore di distanza. Se mai l'hanno fatto.

**UPDATE** - Se poi si scopre che il pestaggio fascista di verona non era fascista ma "solo" un pestaggio, il cerchio è chiuso. Ma il sermone, ormai, è già andato in onda.

(Grazie a Sul Terrorismo per la foto di Tommasoli)

mercoledì, maggio 07, 2008

Auto(in)sufficienza

«Scusate, ma nessuno è tanto pazzo da pensare ad un partito che sia autosufficiente! Il senso della vocazione maggioritaria è un altro, è avere l’ambizione di un’idea globale del Paese da proporre agli elettori.»
Walter Veltroni, Roma, 7 maggio 2008

«Con qualsiasi sistema elettorale, il Pd correrà da solo.»
Walter Veltroni, Orvieto, 19 gennaio 2008

venerdì, maggio 02, 2008

martedì, aprile 29, 2008

Pretese comuniste

I comunisti: "Bossi non può fare il ministro". Fosse per loro, Wladimiro Guadagno o Francesco Saverio Caruso, invece, avrebbero potuto benissimo farlo.
Per fortuna ce li siamo levati dalle palle.

lunedì, aprile 28, 2008

Roma è nostra!

venerdì, aprile 25, 2008

25 aprile di libertà

Comunicato Sindacale Giubilare in occasione della Festa della Liberazione.

«Cgil, Cisl, Uil invitano gli esercizi commerciali a rispettare la chiusura per le festività del 25 aprile e del primo maggio.
Invitano i cittadini a non entrare negli esercizi che rimanessero eventualmente aperti, come segno di rispetto per queste feste.»
Continua su Le Guerre Civili

giovedì, aprile 24, 2008

Le riflessioni di Sartori

«Le elezioni del 13 e 14 aprile sono da interpretare come una svolta speciale?»
Con questa legittima domanda inizia l'editoriale odierno di Giovanni Sartori sul Corriere. Di risposte adeguate ve ne sono diverse, e tutte passano per l'analisi del fenomeno di transumanza elettorale dalla Sinistra Arcobaleno alla Lega e, soprattutto, per la discussione circa la conferma del gradimento personale di Silvio Berlusconi che "rischia" seriamente di passare alla storia (in positivo).
Eppure, Sartori cede ancora una volta alla superficialità ed al qualunquismo "de sinistra": la "svolta speciale" si riduce alla Lega Nord che rischia di scontrarsi con quella del Sud (MPA) e alla Sinistra Arcobaleno che avrebbe dovuto assoldare Berlusconi come consigliere elettorale.
Poi dice che perdono le elezioni.

mercoledì, aprile 23, 2008

Per non dimenticare

E' lunga, forse noiosa, ma per chi vuol uscire dal buco del "è colpa di Berlusconi" e vuol sapere (ricordare) cosa è successo può essere una lettura molto istruttiva.
Gli altri, beh... mi spiace per loro, ma non so cosa fargli.

Tutta questa ricostruzione è ispirata al monumentale lavoro che L'Occidentale ha fatto seguendo la vicenda Alitalia mese per mese, giorno per giorno, soprattutto (ma non solo) con l'ottimo Giuseppe Pennisi.

Non mi spingo tanto indietro, sul passato solo qualche accenno.

All'incirca alla metà degli anni '90 l'avvento delle prime "low cost" e l'aumento in velocità dell'innovazione tecnologica soprattutto in campo aeronautico resero l'Alitalia di allora troppo piccola per gareggiare con i giganti europei e transatlantici, ma al tempo stesso troppo grossa per diventare in breve tempo un vettore europeo/regionale a basso costo.
La complementarietà strutturale con l'olandese KLM (che a differenza di Alitalia aveva un piccolo bacino d'utenza nazionale e rotte estere solide ed estese) era vista come la base di un matrimonio paritetico tra le due aziende, con grandi vantaggi per entrambi.

L'hub di Malpensa nacque in quest'ottica: meglio localizzato geograficamente di Amsterdam, sarebbe diventato il fulcro operativo di tutta l'operazione. A patto, però, che oltre all'efficienza interna ed al buon posizionamento strategico, l'hub venisse dotato delle necessarie infrastrutture a contorno e, soprattutto, di un buon sistema di afflusso e deflusso dei voli da e per gli aeroporti minori circostanti. Il tutto condito da buone relazioni industriali, ovviamente.

Tutto questo è venuto a mancare. Il sistema di smistamento bagagli interno non ha mai funzionato a dovere, le infrastrutture esterne sono fin da subito cadute vittime delle sindromi nimby delle zone circostanti, i piccoli aeroporti di Linate, Bergamo, Brescia e Venezia non sono non si sono "razionalizzati" con Malpensa, ma hanno accresciuto la loro importanza nel nord Italia; contemporaneamente, nel corso della tredicesima legislatura, i governi Prodi / D'Alema / Amato hanno emesso, in materia di "flussi e deflussi", ben cinque decreti ministeriali ed uno della presidenza del consiglio, ognuno in contrasto con i precedenti.

KLM, vista la mala parata, ha girato i tacchi e s'è sposata con Air France. Occasione d'oro persa nel momento peggiore e nel modo peggiore.
Da quel momento, Alitalia ha provato a camminare da sola, ma con zoppicare sempre più accentuato.

Ora, la storia recente.

Il 2 dicembre 2006 il governo Prodi annuncia la cessione del 49,9% del pacchetto azionario Alitalia in mano al Ministero dell'Economia e delle Finanze tramite un'asta. La chiama "privatizzazione".

Il 29 dicembre 2006 viene pubblicato il bando e tutti si accorgono che quella non è un'asta, ma un "beauty contest", cioè una sorta di gara per spogli successivi nei quali i pretendenti vengono via via esaminati (e scartati) in base ai rispettivi piani industriali e finanziari; il tutto senza regole trasparenti ma con alcuni "paletti" posti dal venditore che, nel caso di Alitalia, erano l'italianità, il mantenimento dei livelli occupazionali, il mantenimento di due hub.
Si fece viva una dozzina di "pretendenti", compreso un privato cittadino che, polemicamente, disse di voler comprare l'Alitalia dimostrando così la ridicolaggine dell'operazione.

Ad uno ad uno, tutti se la diedero a gambe e ben presto rimasero in tre: AirOne/AP Holding, Texas Pacific Group/Mediobanca e Aeroflot/Unicredit.
Passa poco tempo, ed anche Aeroflot e gli americani sbattono la porta schifati dagli assurdi paletti posti dal governo italiano.

Era il 30 maggio 2007, con Intesa/AirOne ultima rimasta "in gara" (sic!), quando il ministro Bianchi asserì senza alcun pudore (tentando di smarcare l'antitrust) che quello che si voleva per Alitalia non era una privatizzazione, ma una ricapitalizzazione da effettuarsi in piccola parte con i proventi della vendita di una quota di minoranza ed in larghissima parte con i soldi pubblici. Mentre il governo spostava dal 3, al 12, al 23 luglio il termine farlocco per la presentazione delle offerte tecniche, sempre con AirOne unica "in gara".

Vogliamo parlare del perché Aeroflot aveva poco prima mandato a cagare il beauty contest di Prodi e perché, per contro, verrebbe oggi di corsa ad una vera gara bandita da un vero governo? Vogliamo ricordare che, sempre a maggio dell'anno scorso, appena gli americani di TPG si sfilarono, Prodi fece in modo che i suoi amichetti in Intesa/AirOne facessero la proposta indecende ad Aeroflot di "unire gli sforzi" (e le banche) per un inciucione monopartecipato che ha un nome tecnico ben definito (licitazione privata) e precedenti famosi (SME)? E che i russi risposero schifati che 'ste cose da loro succedevano sotto Breznev?

I contratti-capestro che Prodi proponeva agli acquirenti erano senza garanzie: non erano previsti né il negoziato preliminare con i sindacati né la revisione degli accordi su AZ Servizi. Questo, e lo spettro della licitazione privata - anticamera di infiniti ricorsi UE e di figuracce internazionali da non finire - hanno fatto sì che perfino i compagni di merende di Prodi e TPS abbandonassero la barca. Pensa che fini econmisti.

"La Commissione europea non autorizzerà nuovi piani di salvataggio per Alitalia. La Commissione ha autorizzato un'operazione di salvataggio nel 2004. Questo impedisce che ne vengano approvati altri."
Giugno 2007
"Noi non possiamo pensare di fare strappi, dobbiamo collaborare nella Commissione europea e con il Consiglio europeo per definire le regole e attenersi a quelle regole."
Giorgio Napolitano, luglio 2007
Vogliamo parlare del famoso mercoledì 18 luglio 2007? Di quando, ad AirOne appena ritirata, a Legge Marzano che bussa alla porta, a governo e casse Alitalia alla canna del gas i sindacati cosa fanno? Scioperano bloccando 140 voli con gli italiani (e gli stranieri) in partenza per protestare contro il precariato e lo "scalone"!
Come disse un acuto osservatore, fu come se un condannato a morte pretendesse di posticipare di un giorno l'esecuzione perché doveva manifestare in piazza contro le aliquote fiscali troppo basse applicate ai servizi funebri.
Quello fu l'ultimo atto della svendita Alitalia agli amichetti degli amici, fallita miseramente come fallì miseramente la svendita della SME agli stessi amichetti degli amici. E la cosa divertente è che chi quella svendita impedì s'è dovuto subire dieci anni di processi per poi vedersi assolto con formula piena (ma questo non si dice in giro).

Oppure vogliamo ricordare l'altro giorno terribile, il 26 luglio 2007? Quello dell'audizione in Commissione parlamentare di Padoa Schioppa sul fallimento della finta gara, allietato in mattinata dalla notizia che Toto (principale azionista di AirOne) si era visto privatamente con Fausto Bertinotti - Presidente della Camera dei Deputati - per comunicargli che sarebbe stato pronto ad un'offerta vincolante su Alitalia a patto che fossero stati rivisti alcuni punti-chiave (livelli occupazionali, vincolo a non rivendere, ecc.)!
Quello che quando una cosa simile successe in Costa D'Avorio intervenne la Banca Mondiale congelando tutte le operazioni finanziarie di quel paese finché il governo non avesse fatto marcia indietro e chiesto scusa.
Quello che ci fece prendere per il culo da tutta la stampa mondiale per settimane, roba da rischiare di uscire dall'Europa (ma che i tiggì e i giornaletti degli amici degli amici si sono guardati bene dal pubblicizzare).

Vogliamo parlare del primo atto di Maurizio Prato (altro prodi-amichetto e dirigente IRI di lungo corso) come ad di Alitalia, con l'azienda a picco, gli investitori e gli acquirenti stranieri scappati a gambe levate, con un milione di euro al giorno di perdite, con nessuna prospettiva se non il tirare a campare? Un piano industriale? Un sondaggio sul mercato? Incontri bilaterali con investitori stranieri? Naaaaaa... Ha convocato tutte e nove le sigle sindacali per "concertare". Erano gli inizi di agosto 2007 e la strategia del rinvio già faceva venire i primi dubbi sul fatto che, forse, tutto fosse già deciso e si faceva solo melina in attesa che il vero beneficiario fosse pronto per venire a galla.

Intanto, ovviamente, il tutto è scandito dalle indagini della Consob per sospetto insider trading e di varie Procure per le dichiarazioni "sospette" rilasciate da esponenti politici e di governo ad ogni svolta. Compresa la piccata ed arrogante replica di Bianchi: "i ministri competenti hanno diritto di esprimere la propria opinione sul vettore". Ed è a questo punto che indiscrezioni di stampa ricominciano a fare il nome di Air France. Era il 2 agosto 2007.

Ma Prodi, Prato, TPS e tutta la cricca ovviamente già sapevano da tempo, il piano (seppur a mozzichi e bocconi) andava avanti come previsto. Ed ecco che Prato dopo un po' di melina (che, ricordiamo, ci costa un milione di euro ogni giorno) tira fuori dal cilindro un "programma di sopravvivenza", immediatamente approvato dal CdA, che non è altro che la fotocopia punto per punto di quello che - guarda tu la combinazione! - cavò fuori dai guai Air France qualche anno prima.
Sarebbe qui troppo lungo descriverlo, basti sapere che era un buon piano (anche se copiato/comprato/plagiato/ecc.), ma era anche costoso in termini di scelte da fare e cose cui rinunciare, molto più di come lo fu per la compagnia francese. Nonostante ciò, quella fu forse l'unica cosa buona che i boiardi fecero in vita loro; ma dato che Prodi porta sfiga, andò male.
Non avevano fatto i conti né col sindacato dei piloti (che non sentì ragioni non appena si parlò di riduzione di stipendio a fronte di quote societarie) né con RyanAir, che irruppe a sparigliare le carte con le sue mire su Malpensa.
Come se non bastasse, i mercati volgevano al rosso e la propensione al rischio si abbassava ogni giorno: Air France, di conseguenza, alzò la posta. Unico "hub" Fiumicino e chiusura degli scali inutili come quello di Reggio Calabria (tre voli al giorno, di cui due sponsorizzati da politici locali).

Il tutto, ovviamente, passa sotto strettissimo silenzio stampa: nessuno si accorge che Air France sta dietro la faccenda, tutti credono che la compagnia francese sia impegnata nell'accordo con Iberia e che Alitalia sia ancora in altalenanti trattative, seppur da lontano, con Aeroflot: sono i giorni di Alitalia come "ramo di extra-lusso" della compagnia russa. Lo ricordate, si? Ci furono pure voci di possibili "scambi" di tecnologia tra Italia e Russia, in realtà alla Russia andavano sia i debiti Alitalia che tecnologie aerospaziali (sempre italiane)... strane concomitanze tra gli incontri Alitalia/Aeroflot e quelli degli istituti di affari internazionali a Bruxelles....
Siamo alla fine di settembre 2007, ed intanto giù tragiche dichiarazioni sullo "stato comatoso" di Alitalia (parole testuali di Maurizio Prato davanti alla Commissione LL.PP. del Senato, queste sì finite sui giornali).

Ma nessuno è perfetto, e il 10 dicembre 2007 Maurizio Prato, intervistato dal Corriere del Pd, afferma pubblicamente che tra i sei contendenti finalmente (ri)ammessi a correre dal CdA l'8 ottobre precedente (Aeroflot, Air France/Klm, AirOne/AP Holding, Cordata Baldassarre, Tpg e Lufthansa) "preferisce" - ma guarda tu la combinazione - Air France. Altra situazione da Costa D'Avorio che passa completamente sotto silenzio con la complicità della stampa e delle TV amiche degli amici.

E intanto, alla faccia del mercato, si susseguono i vertici a Palazzo Chigi nei quali il governo (la "politica") continua a "monitorare" (trad.: pilotare) le trattative. I rinvii per l'ennesimo "avvio di trattative" si susseguono (sempre a un milione al giorno): dal 13 dicembre si slitta al 18 e la causa sono le spaccature tra i ministri di Prodi.
Ennesime figure di cacca di fronte al mondo, con gli investitori ed i possibili acquirenti che si rendono sempre più conto di come la politica non potrà mai essere estirpata dalla trattativa.

Infatti, Air France si spaventa e minaccia (telefonicamente) di far cadere tutto l'amba aradam: Prodi sobbalza sulla sedia e, mentre tenta di correre ai ripari, se ne esce (era il 17 dicembre 2007) con la famossissima ed apparentemente incomprensibile frase "Alitalia? Non c'è fretta" affidata alla fedele bocca del ministro Bianchi. Altra melina da due milioni al giorno.

Poco prima di Natale, Sarkozy viene di persona a fare "gli auguri" a Prodi (assieme a Zapatero), facendo finta di discutere a tre del farlocco superamento dell'economia spagnola su quella italiana e delle questioni Telefonica-TelecomItalia. In tutta Italia si leccano le ferite inflitte dal disastroso sciopero dei Tir.
Intanto, ci si scanna sulle intercettazioni natalizie di Berlusconi-Saccà, e la gente si distrae.

E così arriviamo finalmente - lisci lisci e col panettone in panza - al giorno fatidico, il 28 dicembre 2007, quando Padoa Schioppa annuncia che l'unico interlocutore per Alitalia è - ma tu guarda la combinazione! - Air France, che intanto aveva finito di approntare il suo piano industriale. Corrado Passera fa il suo tempestivo (e concordato) passo indietro. Quella che doveva essere una gara, risultato poi un beauty contest, è diventata quello che nei sogni di Prodi doveva essere ed è sempre stata: una licitazione privata ordita sottobanco per quasi due anni. Tombola.

Le speculazioni in borsa non si fermano, il 28 dicembre Alitalia schizza a 76 centesimi per azione, a fronte dei 35 che si leggono nell'offerta Air France. Ovviamente dopo l'ennesima salva di dichiarazioni di ministri, sottosegretari, portaborse, nani e ballerine della banda Prodi. Ci fu più di un analista di borsa perplesso, ma - guarda tu il caso! - nessun pubblico ministero.
Contemporaneamente, Padoa Schioppa compì il suo capolavoro: annunciò che avrebbe chiuso la questione in otto settimane (fregandosene della deadline imposta dal CdA, cioè il 15 gennaio 2008) e, contemporaneamente, che lo Stato italiano non avrebbe poi ceduto proprio tutto tutto il 49,9% in suo possesso. Si si, mi sa un po' di meno, dài. Ci teniamo qualcosina.
E lì Jean-Cyril Spinetta iniziò a sentir puzza di bruciato a sua volta. Vuoi vedere che Prodi me lo sta buttando in quel posto?, pensò.

24 gennaio 2008, ore 20:43. Prodi crolla e, con lui, tutto il castello pazientemente costruito da lui stesso e dai suoi amici sulla svendita di Alitalia ai francesi.

Oh, con questo va detto che lo schifo è sul metodo, non sul merito: ripeto (l'ho già detto) che dal punto di vista industriale sia la soluzione "alla francese" di Prato che quella proprio francese di Spinetta erano se non buone, decenti. Anzi, la seconda - stante lo sfacelo dei conti di Alitalia - era l'unica speranza, dal momento che Air France si sarebbe fatta carico di provvedere all'approvvigionamento di liquidi, dopo che il fondo dei prestiti-ponte, dei "Mengozzi bonds" e dei crediti d'imposta era stato già ampiamente raschiato.

Ma la crisi di governo ha interrotto l'idillio. Che tanto idillio, ormai, non era già più dal momento che a causa dello scandaloso tentennare del governo italiano, Air France aveva via via guadagnato posizioni di forza nella trattativa, facendo maturare quello che in seguito sarebbe diventato un vero e proprio aut-aut.

Da questo momento in poi, è il disastro (senza contare le perdite giornaliere che hanno già totalizzato, da gennaio 2006, più di 400 milioni di Euro).

Il 31 gennaio è un giorno cruciale: Alitalia annuncia di aver deciso di mollare gli slot su Malpensa e contemporaneamente la Sea annuncia l'avvio di una causa legale contro Alitalia per la mostruosa cifra di 1,2 miliardi di Euro.
Le cose si mettono male: i conti dicono che per arrivare a fine 2008 ad Alitalia servono più di 700 milioni di Euro, che non ci sono. A meno che Air France non arrivi all'istante.

Intanto le otto settimane spacciate da Padoa Schioppa sono abbondantemente scadute, e il milione al giorno continua ad essere perso.
Nel programma del Pd presentato da Veltroni non c'è alcuna traccia di Alitalia.
Al che, in piena campagna elettorale, Berlusconi inizia a parlare di "difesa dell'italianità" per Alitalia. Nulla di nuovo, era il primo punto fisso del beauty contest di Prodi; eppure, ora, attira su Berlusconi ogni tipo di insulti. Misteri della politica, eh.

Air France prende tempo, dice che deve studiare le carte, in realtà cerca di capire come si mettono le cose in Italia: l'endorsement garantitole da Prodi nei mesi precedenti è venuto a mancare, le garanzie di fare il "colpaccio" portandosi a casa per due lire le appetitose rotte Alitalia e, soprattutto, i suoi slot nei principali hub europei - resi ancora più preziosi dall'accordo OpenSkies che va alla firma - iniziano a traballare.
Inoltre, i sindacati sono incazzati. Dicono che i lavoratori sono in pericolo. Dicono che Air France sta per fagocitare l'azienda. Arriveranno a dire, come vedremo alla fine, che 160 piloti per tre aerei cargo sono congrui. Anzi, se proprio vogliamo intervenire su questo, allora serviranno più aerei. E che ce li dovrà mettere Spinetta, ovviamente.

Il 15 febbraio 2008 finalmente Air France scioglie la riserva ed annuncia che entro il 14 marzo presenterà la sua offerta vincolante.

Il 10 marzo il CdA di Air France approva l'offerta, ma pone precise e stringenti condizioni: primo, serve il parere positivo dell'antitrust europeo; secondo, serve l'OK del prossimo governo italiano; terzo, Sea deve ritirare la causa da 1,2 miliardi di Euro intentata contro Alitalia; quarto, serve l'OK di tutte e nove le sigle sindacali che spadroneggiano in Alitalia.
E' evidente che Spinetta sente molta, moltissima puzza di bruciato e non vuole rimetterci manco mezzo centesimo. Come dargli torto?

Da quel momento, il governo italiano scompare dalla scena e lascia l'azienda al suo destino. Il ministro Bianchi dichiara apertamente che è molto, molto meglio aspettare il prossimo governo prima di fare qualsiasi altra mossa. Da Milano giungono ovviamente posizioni durissime: "Per noi Alitalia può pure fallire".
Il tutto a titolo rigorosamente scambiato in borsa. Nessuno protesta, a sinistra.

Il 18 marzo, tutto precipita. Un ridicolo Consiglio dei Ministri con presenti solo Prodi e Padoa Schioppa (mancavano tutti gli altri ministri interessati) approva formalmente l'offerta Air France presentata il 14, ma stabilisce che il Ministero dell'Economia e delle Finanze "continuerà a guardarsi attorno" per eventuali altre offerte migliori.

Durante l'incontro tra azienda, sindacati e francesi uno stizzito Spinetta pronunzia la frase che accende la miccia: "Non siamo mica obbligati a comprare Alitalia", neanche con l'umiliante scambio di una azione francese per 160 italiane nel quale il pluriennale tentennare prodiano ha sprofondato la trattativa. E fissa per il 31 marzo il limite massimo per avere una risposta.
E' il caos: i sindacati si scatenano e, intravedendo una breccia nell'accordo governo-Air France, vi fanno leva con gli scontri alla Magliana e col secco "no" a qualsiasi tipo di proposta proveniente dalla Francia, senza se e senza ma.

Da questo momento, Air France si ritira (non ancora formalmente) e Berlusconi comincia ovviamente a parlare di soluzioni alternative, precisando però che finché Air France non fa un passo indietro ufficiale, non si può fare nulla, dal momento che Prodi aveva architettato la trattativa in esclusiva. Contemporaneamente, buona parte della classe politica, sindacale e industriale italiana (esclusi ovviamente i prodiani di stretta osservanza) mostra quasi sollievo, dimostrando di non essere poi tanto allineata pro-Air France.

La Triplice canta vittoria, nei corridoi della Magliana si vedono i ragazzini del Call Center ed i dipendenti di AZ Servizi che esultano per la cacciata dell'invasore.
Chi è veramente scontento e spaventato è il corpo dipendente di AZ Fly, i cosiddetti "colletti bianchi" cui vengono dedicate le prime pagine il 19 marzo. Protestano con slogan del tipo "Spinettà nun ce lassà", hanno capito il disastro che è stato compiuto soprattutto sulla loro pelle. Inizia la diaspora tra i lavoratori e tra lavoratori e sindacati che, rimasti unici interlocutori di Air France, avevano pensato di avere a che fare con un assessore di provincia ubriaco e non con Jean-Cyril Spinetta.

Che, lo ricordo, non è scemo: la debolezza del governo italiano nella "trattativa" da esso stesso concepita ha portato Air France su posizioni assolutamente di forza, tanto che alla fine quello che era un buon piano industriale e di risanamento - nonché l'unica possibilità concreta per portare Alitalia (o quel poco che ne sarebbe rimasto) in Europa - era diventato un acquisto sulla bancarella del mercato delle pulci. Svalutazione delle azioni Alitalia a 10 centesimi, rapporto 160 a 1 con quelle Air France, deviazione dei fondi per la cassa integrazione dei 1600 esuberi, tutte le rotte e gli slot, cespiti patrimoniali, terreni, possedimenti, capitalizzazione, mercato del turismo e millemila altri aspetti che configuravano una vera e propria cannibalizzazione. Prodi aveva creato il mostro, l'aveva fatto incazzare e poi era scappato scaricando tutto sui sindacati e sul nascente governo.

E dire che, seppure obtorto collo e tralasciando le elemosina, le premesse per un buon "deal" tutto sommato c'erano: break-even già nel 2010, debiti ripianati, un miliardo di Euro di investimenti, ristrutturazione del solo 10% della forza lavoro, 3300 dipendenti AZ Servizi (nullafacenti o quasi) reintegrati in AZ Fly, una diminuzione della flotta inferiore al 20%, contratti di fornitura esclusivi a favore di AZ Servizi per otto anni, moratoria di tre anni su AZ Cargo. Ed erano tutte cose mutuate dal piano che salvò Air France a suo tempo.
Peccato che come controparte qui c'erano Prodi, TPS ed i Nove Nazgul sindacali. E questa ancora guardabile offerta era già notevolmente inferiore a quella rifiutata a suo tempo da Prodi e dai sindacati nel 2007. Sotto a questo, Spinetta non era proprio disposto a scendere.
E sorvolo sulla figura di cacca totale che l'Italia stava facendo.

Ma qualche margine, in realtà, evidentemente ancora c'era: di fronte al coro di "no", capitanato da Berlusconi ma subito affiancato da quello di molti esponenti dello stesso governo Prodi, di Confindustria e di diversi media nazionali, Spinetta rivela che nell'incontro previsto il 25 marzo avrebbe presentato una versione "ritoccata" dell'accordo "finale e definitivo". La speranza era che, dopo 18 mesi di procedure anomale e ondivaghe, la prospettiva di un competitor esterno alla trattativa (virtuale, in quanto la trattativa medesima è blindata) potesse innescare un'inversione di tendenza nel costante peggioramento delle condizioni contrattuali per Alitalia (e, di riflesso, per Malpensa) e del livello di ridicolo internazionale nel quale Prodi stava sprofondando il Paese (questo sempre ben dissimulato dalla stampa degli amici degli amici).

TPS se la fece subito sotto: impose l'ennesima deadline alla trattativa, fissandola ora per il 31 marzo, dicendo che non c'erano più soldi. Nonostante il parere nettamente contrario del ministro Bianchi, che diceva il contrario.
Ma tutti sapevano che la materia del contendere non erano i soldi, ma il tempo che giocava improvvisamente a favore di Berlusconi. Non sia mai.

25 marzo. Puntuale come uno svizzero arriva la proposta finale, alquanto ammorbidita, di Air France: reintroduzione di tutto l'handling a Fiumicino, che vedrà tornare a sé la manutenzione leggera; separazione degli accordi, tre in AZ Fly per piloti, assistenti di volo e personale a terra, ed uno specifico per AZ Servizi, il critico "contenitore" di precari e giovanissimi.

La Frankfurter Allgemeine Zeitung, quotidiano tedesco certamente non "berlusconiano" e molto attento a ciò che accade in Italia, per ben tre giorni consecutivi uscì in stampa con altrettanti articoli che lodavano la "geniale iniziativa" di Berlusconi: il sunto è che, con un colpo solo, era riuscito a far uscire Prodi dal buco dove Veltroni l'aveva chiuso per non sporcare la campagna elettorale; a screditare tutto il castello-patacca di TPS nei diciotto mesi precedenti di finte trattative; aveva fatto emergere il conflitto veltroniano tra Roma e Milano proprio nei giorni in cui Uòlter tentava la sua patetica scalata del Nord con Calearo; aveva messo in luce il conflitto tra Bianchi e Padoa Schioppa sulle disponibilità di cassa in Alitalia (dicevano cose totalmente opposte, taciute dai giornali degli amici degli amici); ovviamente, last but not least, era riuscito a "strappare condizioni migliori" ad Air France proprio in alcuni dei settori più critici dell'azienda. Chapeau.
Da noi, ovviamente, si parlava solo dell'ennesimo articolo criticissimo verso Berlusconi uscito sul Wall Street Journal. Amici degli amici.

Immediatamente, siamo al 26 marzo, parte la controffensiva mediatica di Prodi: La Stampa di Torino esce con una ormai famosa prima pagina che attribuisce a Berlusconi tutta una serie di nomi fatti circa imprenditori pronti, a sentir il giornalista, a comprare Alitalia il giorno dopo.
L'inevitabile pioggia di smentite chiude il cerchio e ne esce fuori una perfetta delegittimazione dell'azione berlusconiana i cui frutti erano maturati solo il giorno prima. Chapeau.
D'altronde, mica stiamo parlando di sprovveduti: qua è in azione il fior fiore dello stalinismo in salsa tricolore, i meriti vanno riconosciuti.

Ma Spinetta, che è francese e dei giornalacci italiani se ne frega, continua il suo appeasement: cala un altro asso, e si dice disposto a rivedere alcune cifre sugli esuberi, la sfera d'azione di AZ Servizi in Italia e la posizione della napoletana Atitech. Altri frutti pronti da cogliere.
E questo Spinetta lo fa contro il parere del proprio advisor per l'affare Alitalia. Che non è Merril Lynch, ma - guarda tu la combinazione! - Francesco Mengozzi, ex ad di Poste Italiane (e della stessa Alitalia) e "amico" di Prodi. Anzi, molto "amico" di Prodi.

Questo, segnatamente, è stato il momento nel quale i sondaggi pre-elettorali hanno affossato definitivamente il PD: dal 26 marzo in avanti il pur flebile (ed assolutamente insufficiente) risalire la china di Veltroni si è interrotto. Ma questa è un'altra storia, che parla sempre di amici degli amici.

Walter Veltroni
, in tutta questa vicenda, è stato zitto. Non una parola. Rompe il silenzio solo il 1° aprile con un'uscita degna del giorno: "Non vorrei che l'obiettivo di bloccare l'AirFrance nascondesse la volontà di far comprare a qualcun altro l'Alitalia a due soldi".
Due soldi sarebbero già tanti, il doppio di quanto offriva Air France d'accordo con Prodi. Poveretto.

Intanto un insperato aiuto finanziario (un rimborso d'imposta) fa lievitare di 175 milioni le casse di Alitalia (forse Bianchi tutti i torti non li aveva, dopo tutto, e TPS si era dimostrato ancora una volta un incompetente). La cosa sembra galvanizzare i sindacati che, convinti di poter continuare all'infinito la partita, stiracchiano il tavolo delle trattative ben oltre il termine fissato da TPS. La UIL abbandona il tavolo accampando scuse da operetta e tutto slitta al 2 aprile.

Anche Spinetta non sembra avere in effetti moltissima fretta, un cambio al vertice in Italia è sempre più sicuro e la questione OpenSkies / Lufthansa preme a casa sua e rende sempre più appetibile l'acquisizione di Alitalia e, soprattutto, dei suoi preziosissimi slot che potrebbero costituire un'importante porta verso gli USA e quel ricco mercato aereo.
Prende piede l'idea di congelare le trattative fino a dopo le elezioni politiche, e pare un'idea condivisa da tutti (tranne che da Prodi, ovviamente).

Ma il 2 aprile, il giorno successivo, accade l'irreparabile: Air France abbandona la trattativa e Spinetta se ne va incazzatissimo sbattendo la porta. Maurizio Prato lo segue a ruota e si dimette. Bum. Fine dei giochi.

Che diavolo era successo? E' presto detto, e non fu certo "colpa di Berlusconi" (ahah) come vanno oggi farneticando i sopravvissuti del PD: era successo che i trogloditi del sindacato, che purtroppo son mentalmente e culturalmente fermi alla fine dell'800, avevano tirato troppo la corda ed avevano iniziato a prendere per il culo Spinetta, chiedendogli di accollarsi gli oneri di tutte le attività di terra. Portavoce di tutti loro si era fatto Guglielmo Epifani.
Nello specifico, sbandierando la cosa nei TG come "ora presentiamo noi il nostro piano!", pretesero: la non chiusura delle attività Cargo (moratoria sulla moratoria), diminuzione del numero di aeromobili da dismettere (mantenendo il numero di piloti, però), partecipazione di Fintecna all'aumento di capitale (!!!, e qui si sente tutta la puzza di Prodi e TPS dietro ai sindacati) e conferimento della sua quota in AZ Servizi per il 100% alla "Nuova Alitalia" (bum!).
Ovviamente, appena sentite queste farneticazioni, Spinetta ha ruttato in faccia ad Epifani e se n'è tornato a Parigi col primo volo (Air France).


"Interpellata da Alitalia al fine di chiarire la situazione legale creata dall'interruzione dei negoziati fra Air France-Klm e Alitalia, il gruppo Air France-Klm ha comunicato alla compagnia italiana che gli impegni contrattuali presi il 14 marzo scorso con l'obiettivo di lanciare un'offerta pubblica di scambio su Alitalia, non sono piu' validi dal momento che non sono state soddisfatte le condizioni sospensive che dovevano essere attuate prima del lancio dell'offerta."
Parigi, 21 aprile 2008

Eh già, l'OK dei sindacati era uno dei paletti inamovibili posti da Air France per il buon fine dell'acquisizione. Il fatto che anche il secondo paletto, la causa di Sea contro Alitalia, sia rimasto al suo posto, è a questo punto del tutto ininfluente. Così come per il terzo paletto, l'OK del futuro governo; sul quale peraltro nessuno in cielo ed in terra può fare oggi speculazioni di alcun tipo: le cose sono andate come sono andate e non ci sono appigli per fare ipotesi di scuola.
Non resta che attendere l'insediamento del nuovo governo ed i risultati degli studi di Sin&rgetica e vedere se ci sono i termini per un nuovo tentativo di salvataggio oppure se arriva finalmente il turno della legge Marzano. E intanto, paga Pantalone (ben 300 milioni) e due anni (e ben più di 300 milioni) sono andati in fumo per i giochini da Piccolo Finanziere Sfigato di Prodi, Padoa Schioppa e dei loro complici.

Ora, se qualcuno in tutto ciò ha il coraggio di vedere la responsabilità "di Berlusconi", o è scemo o ci fa. Io propendo per la seconda.

[L'immagine è tratta dal sito La Stampa.it]

domenica, aprile 20, 2008

La falsa partenza

Era il 3 marzo del 2006 quando il direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli, con un'azione alquanto inusuale per un grande giornale nazionale, fece quello che all'epoca venne definito, in un'orgia anglofona, "outing" e "endorsement": a poche settimane dal voto espresse pubblicamente il suo sostegno per Romano Prodi, attirandosi non poche critiche a cominciare dalla stessa redazione di via Solferino.
Le cose andarono come sappiamo, Prodi scippò il Governo con le elezioni più controverse degli ultimi decenni e dopo soli diciotto mesi di agonia crollò, e con lui il sogno di quella "democrazia normalmente antiberlusconiana" da Mieli preconizzata.
Oggi, a distanza di due anni, il Nostro ci riprova e l'enrdorsement, stavolta post-elezioni, è per il governo ombra annunciato da Veltroni dopo la scoppola elettorale. Purtroppo, oggi come allora, la visione politica di Mieli appare in tutto il suo affanno.
Nel 2006 il tutto sommato scarno editoriale criticava i cinque anni di governo Berlusconi utilizzando argomenti per lo più degni di Di Pietro mentre assolveva Fini e Casini ed osannava Prodi, D'Alema, Fassino e Bertinotti; ma aveva un punto d'appoggio certo, il termine "centrosinistra". Che, pur rappresentando politicamente un obbrobrio (l'Unione di allora fu la più fallimentare esperienza politica a memoria d'uomo), aveva un'identità complessiva chiara e ben definita: tutto ciò che si trovava alla sinistra di Casini, Casini escluso.
Oggi, il più corposo articolo - intitolato "La vera partenza" - non ha nemmeno quella stampella: il centrosinistra non esiste più, il Pd è un ectoplasma in fibrillazione, la sinistra-sinistra è scomparsa dal Parlamento e si prepara a bruciar pneumatici per le strade. E Mieli non trova di meglio che rifugiarsi in un'improbabile analisi della "compostezza" con la quale Veltroni avrebbe assorbito il colpo, pari forse solo alla sicurezza con la quale parlava di rimonta prima del voto. Non come succedeva in passato, quando lo sconfitto di turno (una volta l'uno, una volta l'altro) urlava e si dimenava per mesi o anni prima di farsene una ragione; no, stavolta è nata una nuova Repubblica! Nonostante i residui rigurgiti "raccogliticci" e le "accozzaglie protestatarie" che tuttora inquinano il centrodestra, Veltroni saprà confermare il suo "coraggio" espresso da quel suo "corro da solo" che tanto bene portò al nostro Paese e riuscirà nell'impresa di entrare nei libri di storia assieme alla sua creatura politica, sconfitta, tutto sommato, a causa dei videoplagi di Barack Obama e dei Village People e, soprattutto, grazie al libro di Giulio Tremonti.

mercoledì, aprile 16, 2008

Verso il Governo Ombra


Riuscirà Walter Veltroni a risuscitare il cadavere dalla Sinistra Arcobaleno per cercare di limitare i danni nel cupo futuro che lo attende?

lunedì, aprile 14, 2008

Alcune considerazioni

  1. Nel 2006 non vinse Prodi, vinse l'antiberlusconismo.
  2. La legge elettorale volgarmente chiamata "porcellum" ha regalato all'Italia, con appena sessant'anni di ritardo, l'ingresso nel terzo millennio: il bipartitismo moderno.
  3. I comunisti, almeno quelli che hanno continuato a dichiararsi tali, sono fuori dal Parlamento.
  4. I socialisti, almeno quelli che hanno continuato a dichiararsi tali, sono fuori dal Parlamento.
  5. I fascisti, almeno quelli che hanno continuato a dichiararsi tali, sono fuori dal Parlamento.
  6. I centristi, almeno quelli che hanno continuato a dichiararsi tali, sono praticamente fuori dal Parlamento.
  7. Berlusconi, come sempre, aveva ragione: 30 senatori di vantaggio.
  8. La Lega Nord non è più il movimento delle casalinghe di Voghera.
  9. Beppe Grillo è entrato in Parlamento (travestito da Di Pietro).
  10. Le Politiche 2008 sono state le elezioni forse più "tranquille" a memoria d'uomo.
  11. Mai come oggi Berlusconi deve formare un governo con le palle. Mai come oggi.

sabato, aprile 12, 2008

Nonostante tutto

Nonostante Roberto Benigni che lo rivoterebbe tre volte. Nonostante George Clooney che 'n'altro po' lo baciava in bocca. Nonostante le rassegne stampa di SkyTg 24. Nonostante Jovanotti, Vasco Rossi e gli altri 150 vip che "Walter è nostro amico". Nonostante il Times che "offendere Totti è un errore disastroso". Nonostante i Village People plagiati. Nonostante la par condicio sui tempi e non sui modi. Nonostante che i manifesti del PdL li attaccavano gli zingari. Nonostante "il PCI non era un partito ideologico, tanto è vero che erano iscritte personalità come Italo Calvino o Alberto Moravia, che non erano comunisti" (W.V.). Nonostante Barack Obama. Nonostante Panatta. Nonostante i boninismi e i d'avanzismi su Dell'Utri, i brogli e l'Argentina. Nonostante Prodi che "lo ringrazio, è uno statista che ha fatto bene all'Italia" (W.V.). Nonostante le 110 fermate col pullman. Nonostante tutto.

martedì, aprile 08, 2008

Giuliano Ferrara Ministro della Salute

Prendendo spunto da questo post de Il Falco, lancio qui l'iniziativa (simbolica, certo, ma non si sa mai ) di sostenere Giuliano Ferrara come ministro della salute nell'ormai imminente governo del Pdl.
Lo faccio aggiungendo questo "bottone" al mio blog, ed invito chiunque condivida l'iniziativa a fare altrettanto, utilizzando il frammento di codice che segue:



L'immagine del bottone è quella riportata in questo post. Chi aderisce farebbe cosa carina a postare un commento qui col link al proprio blog.

Nessuna scaramanzia

Alla fine Veltroni ha preso atto della realtà e, terminato l'estenuante tour elettorale nelle 110 province italiane, dismette le trionfalistiche previsioni di vittoria (peraltro mai supportate dai numerosissimi ed eterogenei sondaggi che, in barba alla par condicio, continuano a circolare) e scrive a Berlusconi, prossimo Presidente del Consiglio, "raccomandandolo" di essere "leale alla Costituzione".
Ora, al di là della strumentalità e della teatralità della mossa, in puro stile veltroniano, la "lettera" significa due cose: da un lato, come già detto, l'implicita ammissione della sconfitta e di questo si da atto a Veltroni; dall'altro, un ultimo, forse disperato tentativo di imporre una "superiorità morale" sull'avversario tale da recuperare qualche consenso.
Speranza alquanto vana, se si tiene conto che il testo della lettera è, in fondo, un chiaro atto d'accusa a Bossi e, di conseguenza, alla Lega; e l'elettorato del Nord, così faticosamente rincorso dal Pd nei giorni scorsi, non ne sarà certamente contento.
Nessuna scaramanzia, quindi: il centrodestra ha vinto, ed ha vinto alla grande. Finalmente lo ammette anche Veltroni.

lunedì, aprile 07, 2008

Povera Cina

ANSAPHOTO
Una selezione dal servizio fotografico ANSA delle più belle foto dal mondo.

A Nuova Delhi: contro la Cina, per la causa tibetana.

Ora, la domanda sorge spontanea. Che ci fa quella svastica a simbolo della causa tibetana, almeno nella visione ANSA? Tanto da considerare questa "una delle più belle foto dal mondo"?

La fotogallery è visibile a questo indirizzo.

Monologo

Veltroni si lamenta perché Berlusconi parlerà prima di lui a "Matrix".
Veltroni si lamenta perché Berlusconi parlerà dopo di lui a "Porta a Porta".
Che volesse parlare solo lui?

**UPDATE del 8/4**
Veltroni se l'è presa in quel posto perché anche il sorteggio di Matrix ha messo Berlusconi per ultimo. Ben gli sta.

sabato, marzo 29, 2008

Scordamose Prodi

La veltroniana operazione "Scordamose Prodi" è arrivata all'ultimo atto: l'ex- presidente del Consiglio è stato costretto a rinunciare alla tradizionale conferenza di fine mandato. La motivazione ufficialmente addotta è che lui non vuole dare un "indebito vantaggio alla sua parte politica" (sic!), la realtà la sappiamo benissimo tutti ed è l'esatto contrario: l'impresentabilità del dannosissimo predecessore (tuttora presidente del Pd) non giova alla scintillante, patinata e disperata campagna elettorale dell'Obama de noantri.

Sorry, Mr. Prodi: you can't.

mercoledì, marzo 12, 2008

Scarafaggi a destra

Istruttivo vedere l'interesse, quasi entomologico, con il quale il Corriere del Pd si chiede e ci chiede di osservare "chi vota per il Pdl" o "chi vota per La Destra". Come si osserva uno scarafaggio che depone le uova o la mitosi di una cellula eucariote. Con quel misto di stupore e ribrezzo che si prova nel vedere il rituale di accoppiamento di una mantide religiosa o la nascita di una cucciolata di maiali. Con il medesimo interesse che ha il giornalista generalizio per l'iPhone "primo smartphone al mondo", così intriso di ingnoranza e superficialità, ma tronfio di superiorità culturale e sprezzo del "diverso". Come quando c'è un efferato crimine e i tabloid spippolano la biografia dell'assassino.

Non fanno tenerezza anche a voi?

sabato, marzo 01, 2008

"Quote" Rosa

Siamo grati al Corriere del Pd per questa dimostrazione di par condicio al femminile.
A sinistra, Marianna Madia. Ma quanto è carina, ma quanto è dolce, ci racconti, che emozione, Walter mi stima, ha presente la seduzione? Bella e geniale, Enrico Letta la adora, fa colazione con Cossiga, si vede col figlio di Napolitano, ma ora è fidanzata? No, perché? Così, una curiosità.
A destra, Daniela Santanché. Berlusconi mi fa un sacco di regali, ma io me ne frego. Io lo uso. Le donne vanno pazze per me, in realtà sono un uomo. Al diavolo gli immigrati, li stermineremo. Ah, io non l'ho mai data per fare carriera. Buurrrrrp. Merda, erano le cozze.

lunedì, febbraio 25, 2008

I numeri di Veltroni

Quanti tra quelli che, resistendo agli sbadigli, hanno prestato attenzione alla presentazione del programma di Veltroni hanno capito su cosa sia basato? No perché, nell'ordine, individua "quattro problemi fondamentali", "dieci pilastri" e "dodici azioni di governo". Che stia dando i numeri?

sabato, febbraio 16, 2008

Indecenza

«Sono orgoglioso di potervi annunciare la prima candidatura del Partito democratico alle prossime elezioni: e' quella di Antonio Boccuzzi, operaio della Thyssen, sindacalista, unico sopravvissuto dei sette che quella notte si trovavano sulla linea cinque.»
Walter Veltroni, Roma, 16 febbraio 2008

Neanche i genitori di Carlo Giuliani arrivarono a tanto.

giovedì, febbraio 14, 2008

Semplificazione. "Maanche" caos.

Fluida ed interessante, la situazione in questo scorcio iniziale di campagna elettorale.

Da un lato, "se semo tolti Casini da li maroni" e scusa se è poco. Sicuramente egli ha sentito l'odore di quel "Grande Centro" che sogna da bambino e convolerà a giuste nozze con Mastella, Tabacci, Baccini, Pezzotta e qualche altro neo o vetero democristiano (chissà che anche Follini non rifaccia il salto della quaglia), puntando alla soglia psicologica del 10%. La cui differenza con il 6% dell'Udc e con lo 0% di Tabacci è un bel 4% sottratto, nonostante quanto va dicendo in giro Casini, praticamente tutto al Pd. Ma Berlusconi non se la passa bene: eliminato il fattore destabilizzante dell'Udc, rimane l'altro grande nodo, Storace, che rischia seriamente di diventare scorsoio, dal momento che Fini - fatta l'ennesima capriola - non può certo sperare di raccattare più di dieci/dodici voti in tutto, a cominciare dal mio.
Sommiamoci che un berlusconiano D.O.C. e grande opinion maker - Giuliano Ferrara - ha deciso di remare contro e di creare un nuovo simbolo, una nuova lista, magari un nuovo candidato premier, chissà. Per la vita, per carità. Ma non poteva farlo dall'interno del Pdl, continuando a fare quello che sa fare meglio, cioè sbugiardare tutti gli ipocriti che gli capitano a tiro? Bah.
Sommiamoci che la campagna elettorale del Pd è totalmente in appalto ai mainstream media che stanno sbavando manco fossero scolarette di fronte ai Take That o Veltroni di fronte a Barack Hussein Obama. Nuovamente, il "fattore C" della sinistra si è fatto vivo e, nuovamente, l'ex- Cdl dovrà affidarsi completamente ai suoi elettori e - manco a dirlo - ai miracoli personali e storicamente ricorrenti di Silvio Berlusconi: i tempi del 58% (parola dell'Espresso di manco venti giorni fa) so' belli che finiti.
Unica novità a favore di Berlusconi sono i pochi ma chiari punti programmatici che ha ventilato da Bruno Vespa, contrapposti al ridicolo elenco di luoghi comuni e cliché elettorali snocciolato da Veltroni la sera successiva. Ma siamo ancora agli inizi.

Dall'altro lato, visto che si autodefinisce "socialista" ed ha le idee molto chiare, il Pd di Uòlter ha pensato bene di scaricarli, i socialisti, e di annettersi i forcaioli burini - Di Pietro e soci, che i socialisti li mangiano a colazione; ma l'immonda operazione ("da soli, MAANCHE con l'Idv") porta il Pd inesorabilmente sopra la soglia critica del 30%, che è la somma degli ex Dl e Ds, anche se vi torna quasi subito sotto a causa del già citato "Grande Centro", sicuramente più sexy per i (non pochi) Binettiani di quanto può esserlo D'Alema.
Sommiamo questo all'erosione a sinistra: Bertinotti non se ne starà con le mani in mano e farà una feroce campagna elettorale tutta contro il Pd, nella quale una buona fetta sarà ricordare al Pd medesimo da dove viene (Prodi), cosa che Uòlter al solo sentirla gli vengono le bolle per ovvii motivi d'immagine. Sommiamoci ancora la questione interna al Pd relativa alle nomine: di fatto Veltroni non l'ha mai legittimato nessuno (le "primarie", in perfetto stile sinistro, sono state una presa per i fondelli con un solo candidato, come già fu con Prodi) e non appena inizierà a far pesare la sua posizione nelle cose che contano (le poltrone), apriti cielo!, tutti i nodi verranno al pettine e voleranno sovietici ceffoni.

Un bel casino. Chi pensava che la situazione politica italiana si fosse magicamente ribaltata (e semplificata) solo cambiando nome a quattro partiti è bene che si ricreda: quello che abbiamo visto in questi giorni è niente, il bello deve ancora venire.
Anche perché chiunque la spunterà, tra due mesi esatti, dovrà fare inesorabilmente i conti con lo sfacelo lasciato dall'armata brancaleone di Prodi. E non saranno le mielose promesse sull'abolizione dell'ICI o sui mille Euro di salario minimo (?) a rimettere questo Paese in piedi. Soprattutto se Prodi medesimo dovesse continuare a governare per mezzo del Pd, del quale - non dimentichiamolo mai - è presidente.
Ma soprattutto se la volontà di semplificare e pacificare la politica italiana, così enfaticamente sbandierata, dovesse sprofondare nel caos cacofonico che è musica per le orecchie della sedicente "antipolitica". Sarebbe veramente la fine.

venerdì, gennaio 18, 2008

Il vero Appoggio Esterno

Il già traballante governo Prodi è sull'orlo del baratro a causa del ciclone Mastella? Nessun problema: ci pensano i giudici di Napoli a rinviare a giudizio Berlusconi per corruzione e, giusto per non sbagliare, quelli di Milano ad allungare cautelativamente di due anni i termini di prescrizione per il processo Berlusconi-Mills.
Tutto in un paio d'ore. E poi dicono che la Giustizia in Italia non è efficiente.

sabato, dicembre 15, 2007

Barça, giù le mutande

Al sottoscritto frega meno di niente del calcio, e cosa fosse il Barça l'ha scoperto tre minuti fa, ma cionondimeno è stra-sicuro di conoscere perfettamente i suoi dirigenti: fanno parte di quel peloso, unto, inutile, dannoso, patetico, irritante grumo di individui che pensano che calarsi le mutande di fronte a chi "di mutande se ne intende" li faccia sentire meno sporchi.
Ignobili ipocriti: perché non fanno una squadra di 5 uomini, 5 donne ed il portiere transessuale, così non urtano nessuna sensibilità neanche in quel senso?

mercoledì, dicembre 05, 2007

Perché Beppe Grillo non è credibile

«Nell'ottobre 2005 l'edizione europea del settimanale statunitense Time lo ha eletto tra gli eroi europei dell'anno per gli sforzi e il coraggio nel campo dell'informazione pubblica». (da Wikipedia)

Ci permettiamo di dissentire vigorosamente. Beppe Grillo non fa "informazione pubblica", né tantomeno è "coraggioso". Beppe Grillo è un comico, un uomo di spettacolo che ha trovato la sua vena in quel che tutti vediamo e conosciamo.
Per carità, niente da eccepire. Se non fosse che l'uomo viene idolatrato regolarmente da un'enorme fetta di popolazione ed elevato a Vate delle genti, velato e nobilitato da quell'antipolitica sapientemente inventata il giorno che Prodi è sceso sotto il 40% nei gradimenti.
Idolatrato, dicevamo, da genti che, notoriamente, non sono di bocca buona dal momento che si bevono acriticamente le crociate a tempo del Beppone nazionale, come quella memorabile contro Internet, quella a favore dell'idrogeno o quella, buona ultima, per la legalità nel Parlamento. Un luogo comune molto duro a morire è quello che vuole Grillo vittima del sistema, un novello Giovanni Battista urlatore nel deserto allontanato dalle telecamere che contano perché troppo scomodo. Ma sappiamo che la realtà è un'altra, Grillo ha volutamente abbandonato le TV pubbliche e private nazionali per ripiegare sul format teatrale in tour prima e su quello online dopo (una volta smaltita la crociata anti-Internet), format che ha reputato essere (a ragione) estremamente più produttivi per i suoi fini di lucro. L'immagine del combattente braccato evoca figure eroiche d'altri tempi, fa presa sul popolo-platea ed ha un ritorno in dobloni certamente superiore a quello di un cabarettista da Zelig qualsiasi. Basta guardare il suo compagno Benigni, che non è certo l'ultimo arrivato, cosa s'è dovuto inventare per campare, un bel mix di parolacce e Divina Commedia da propinare in prima serata, rincorrendo Celentano e "sua sorella". In effetti, a ben vedere, le parolacce tirano sempre.

Dicevamo che Beppe Grillo non fa informazione. In effetti, fa disinformazione dal momento che il dato veicolato con lo spettacolo/blog/v-day viene imposto come Verità assoluta. Cosa che, ovviamente, non è e non può essere, salvo qualche raro e statisticamente accettabile caso.
Ma non sono solo l'attacco strumentale o la bufala spacciata come verità a configurare la fattispecie di disinformazione, nell'operato di Beppe Grillo: anche - e soprattutto - sono i silenzi a mostrare la parzialità del comico genovese il quale del resto, come è probabile e comprensibile, avrà pure qualcuno o qualcosa cui dover rispondere.
Ed ecco che, dopo aver martellato per mesi l'opinione pubblica con la crociata (ripetiamo: sacrosanta, nel merito) contro i condannati in via definitiva che siedono in Parlamento, e dopo l'otto settembre del "vaffanculo-day" (notevole dimostrazione di "educazione civica"), Grillo tace completamente (il link porta ai risultati della ricerca sul blog del comico) circa il più grave episodio di sopruso politico-istituzionale degli ultimi anni: la cacciata di Angelo Maria Petroni dal Consiglio di Amministrazione della RAI ad opera di Tommaso Padoa Schioppa, ministro dell'Economia del governo Prodi, in combutta con il medesimo Presidente del Consiglio e con il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, ed il conseguente scavalcamento secco della Commissione di Vigilanza RAI.

La storia è nota, ma vale la pena scorrerla velocemente nei suoi momenti salienti:

  • 11 maggio 2007 - Il Ministro dell'Economia e delle Finanze, per mezzo di una lettera vergata dal direttore generale del ministero Vittorio Grilli ed indirizzata a Romano Prodi, dice sostanzialmente che la RAI è in "una situazione di stallo" e che la colpa è del consigliere Petroni, rappresentante del Ministero delle Finanze (primo azionista RAI) ma in quota all'attuale opposizione (fu infatti nominato nel 2005 dall'allora ministro Siniscalco). L'ironia della grottesca situazione nella quale si trova Petroni, nel ruolo di ambasciatore presso il CdA del suo medesimo siluramento, sfugge ai media.
  • 12 maggio - Romano Prodi si affretta ad allinearsi alla posizione di Padoa Schioppa: «La RAI non era più governabile, non potevamo lasciarla allo sbando», sostenendo la tesi delle responsabilità tutte in capo a Petroni. Scoppia lo scandalo, l'opposizione grida al golpe e scatta il ricorso al TAR del Lazio da parte del consigliere "sfiduciato".
  • 16 maggio - Padoa Schioppa viene convocato in audizione presso la Commissione Vigilanza RAI per spiegare le ragioni del suo gesto. L'esposizione sorprende tutti, dal momento che il Ministro sembra sostenere che "il problema della RAI è l'intero CdA", ripetendo con forza il concetto ma evitando accuratamente di spiegare come questo si possa conciliare con la volontà di sostituire il solo Petroni. Nuovamente, l'opposizione grida al golpe, chiede le dimissioni del Ministro e minaccia lo "sciopero del canone".
  • 29 maggio - Il TAR del Lazio accoglie il ricorso di Petroni e dispone la sospensione della riunione del CdA prevista per il 4 giugno successivo, nel corso della quale si sarebbe dovuto discutere l'allontanamento del consigliere non più gradito all'azionista di maggioranza. Il tribunale si riserva di emettere una sentenza definitiva nel merito entro la prima metà di giugno.
  • 7 giugno - Il TAR emette la sentenza che conferma la sospensione della procedura di siluramento di Petroni. E' una sentenza dura, che attacca direttamente Tommaso Padoa Schioppa inchiodandolo alle sue responsabilità per aver agito in base a "ingiustificabili ragioni palesemente extragiuridiche". Come a dire, era una questione personale tra TPS/Prodi e Petroni, la "governabilità" della RAI non era minacciata da questioni tecniche o di merito. In più, il tribunale mette l'accento sull'incoerenza tra la sfiducia al solo rappresentante CdL e le parole dello stesso Ministro che, in sede di audizione in Commissione Vigilanza, aveva chiaramente e ripetutamente affermato che "il problema è l'intero CdA".
  • 1° agosto - Il Consiglio di Stato accoglie le istanze del Governo e dà il via libera all'assemblea che dovrebbe espellere Petroni dal CdA RAI.
  • 23 agosto - Il presidente della Commissione Vigilanza RAI, Mario Landolfi, convoca per il 6 settembre successivo Tommaso Padoa Schioppa in un tentativo estremo di far rientrare la vicenda nei canoni previsti per la sostituzione di un consigliere, ma il Ministro fa melina e dice che per il 6 proprio non ce la fa.
  • 10 settembre - Dopo molti rinvii ed un fallito tentativo in extremis, da parte di Petroni, di ricorrere nuovamente al TAR del Lazio, finalmente l'assemblea viene celebrata, Padoa Schioppa dribbla la Commissione Vigilanza, Petroni è silurato (viene spedito seduta stante a dirigere l'Aspen Institute) ed al suo posto viene richiamato Fabiano Fabiani, uomo di Romano Prodi e di Veltroni, già vicepresidente RAI alla fine degli anni Settanta, già direttore all'I.R.I., già amministratore delegato di Autostrade, già deus ex machina di Finmeccanica, già amministratore delegato di Cinecittà Holding, già presidente di Acea. E' il caos, da ogni parte (esterna al Governo) si grida al colpo di stato, partono nuovi ricorsi al TAR e nuove minacce di "sciopero del canone" (sic!). E' anche l'ufficializzazione della spaccatura nell'Unione tra il quasi-neonato Pd ed i cespugli della Cosa Rossa, che assieme all'Udeur e a Di Pietro, non hanno gradito per nulla né il ritorno di Fabiani né, soprattutto, il modo "originale" con il quale la vicenda è stata gestita dal Governo. Segnatamente, nel corso della medesima assemblea, dovrebbero essere effettuate le nomine RAI, una cosuccia da nulla nata già bollata dallo scandalo Petroni; il presidente Petruccioli nei giorni precedenti si sgolava nel rassicurare l'Italia che "le nomine le facciamo noi", non il Governo. Già. Per fortuna, di nomine non se ne vide neanche l'ombra.
  • 12 settembre - Il Presidente della Repubblica si accorge che qualcosa non va e convoca quello della Commissione Vigilanza RAI per avere spiegazioni circa tutta la storia. Si racconta che Napolitano si sia trovato d'accordo con Landolfi sul fatto che il Governo non abbia fatto propriamente la cosa giusta.
  • 13 settembre - Tommaso Padoa Schioppa finalmente - e colpevolmente troppo tardi - si degna di presentarsi in Commissione Vigilanza RAI per riferire sull'accaduto: parlando ai muri (i rappresentanti della CdL hanno abbandonato l'aula non appena il Ministro ha fatto tanto di entrarvi), Padoa Schioppa ha tentato di tenere fuori dai guai il Governo (come se non ne facesse parte) dicendo che la decisione ("comunque giusta ed eseguita con correttezza") sarebbe stata unicamente sua. Con questo episodio viene definitivamente sancita l'esclusione della Commissione (e del Parlamento) dalla procedura di sostituzione del consigliere Petroni.
  • 20 settembre - L'Esecutivo esce quasi indenne da una pericolosa seduta al Senato ove si votavano le risoluzioni sulla RAI e dalla quale l'Italia aspettava (invano) spiegazioni politiche sull'intera vicenda. Com'era prevedibile, l'unica decisione uscita dalla maratona di Palazzo Madama è di non decidere nulla: nomine congelate fino alla presentazione del piano industriale, quindi sicuramente fino a fine anno. Tutto rimandato.
  • 26 settembre - In Commissione Vigilanza RAI la CdL, nonostante sia in minoranza, fa approvare (con l'aiuto dei primi "fuoriusciti" dalla maggioranza, Bordon in testa) l'adire la Corte Costituzionale nel contestare al Ministero dell'Economia (e quindi a Padoa Schioppa) la competenza nella defenestrazione di un membro del CdA, fosse pure di quello che rappresenta il Ministero stesso. E' una schiacciante vittoria per l'opposizione che fa il paio con la figuraccia della maggioranza al Senato la settimana precedente.
  • 16 novembre - Il TAR del Lazio, cui intanto era ricorso (nuovamente) Petroni, ribalta la situazione e dichiara "illegittima" la sua revoca da consigliere. E' una nuova mazzata diretta a Tommaso Padoa Schioppa (e quindi a Prodi ed al suo governo), accusato di aver fatto "una operazione di chiaro stampo politico, indebitamente realizzata con strumenti legali finalizzati a ben altri scopi", cioè al ribaltamento delle forze in campo; dispone inoltre il reintegro di Petroni nel CdA. Richieste di dimissioni di Padoa Schioppa come se piovesse, silenzio ad oltranza dal Governo.
  • 25 novembre - Il Governo fa a sua volta ricorso al Consiglio di Stato, ostentando sicurezza forte del risultato positivo già ottenuto in quella sede il 1° agosto.
  • 4 dicembre - Il Consiglio di Stato dà invece ragione a Petroni ed affossa Padoa Schioppa: viene respinta la richiesta di sospensiva della decisione del TAR presa il 16 novembre. Il Re è nudo.
Ora, ci domandiamo: lasciando perdere per decenza Nanni Moretti ed i "girotondini", dove sta Beppe Grillo? Forse che senza la canonica imbeccata di Marco Travaglio non se la senta di scrivere qualcosa e di "mandare gentilmente a quel paese" Prodi, il suo Ministro pasticcione (e furbetto) e tutta l'armata brancaleone che ne consegue in un frangente nel quale non può fare l'ecumenico relativista, tipo quando si premura di ricordarci che nello scandalo Unipol è coinvolta Forza Italia?
Possibile che dal palcoscenico privilegiato di sito internet italiano (e non solo) tra i più seguiti il nostro eroe non senta lo stimolo di esprimere una qualche forma non dico di dissenso, ma di perplessità? Perché se, usando il motore di ricerca del blog, immettiamo la parola "Berlusconi" saltano fuori centinaia e centinaia di "post", ma se immettiamo "Petroni" viene su solo un virgolettato preso da una lettera di Marco Travaglio?

martedì, dicembre 04, 2007

Il D'Alema che ti aspetti

«Il fondamentalismo non è un residuo arcaico, ma un fenomeno della globalizzazione. È la reazione alla paura di essere cancellati dal mondo occidentale. L'Islam per tradizione è tollerante, se non fossimo andati noi a dargli fastidio con le crociate...»
Eh già, è sempre il solito D'Alema.