E' lunga, forse noiosa, ma per chi vuol uscire dal buco del "è colpa di Berlusconi" e vuol sapere (ricordare) cosa è successo può essere una lettura molto istruttiva.
Gli altri, beh... mi spiace per loro, ma non so cosa fargli.
Tutta questa ricostruzione è ispirata al monumentale lavoro che L'Occidentale ha fatto seguendo la vicenda Alitalia mese per mese, giorno per giorno, soprattutto (ma non solo) con l'ottimo Giuseppe Pennisi.
Non mi spingo tanto indietro, sul passato solo qualche accenno.
All'incirca alla metà degli anni '90 l'avvento delle prime "low cost" e l'aumento in velocità dell'innovazione tecnologica soprattutto in campo aeronautico resero l'Alitalia di allora troppo piccola per gareggiare con i giganti europei e transatlantici, ma al tempo stesso troppo grossa per diventare in breve tempo un vettore europeo/regionale a basso costo.
La complementarietà strutturale con l'olandese KLM (che a differenza di Alitalia aveva un piccolo bacino d'utenza nazionale e rotte estere solide ed estese) era vista come la base di un matrimonio paritetico tra le due aziende, con grandi vantaggi per entrambi.
L'hub di Malpensa nacque in quest'ottica: meglio localizzato geograficamente di Amsterdam, sarebbe diventato il fulcro operativo di tutta l'operazione. A patto, però, che oltre all'efficienza interna ed al buon posizionamento strategico, l'hub venisse dotato delle necessarie infrastrutture a contorno e, soprattutto, di un buon sistema di afflusso e deflusso dei voli da e per gli aeroporti minori circostanti. Il tutto condito da buone relazioni industriali, ovviamente.
Tutto questo è venuto a mancare. Il sistema di smistamento bagagli interno non ha mai funzionato a dovere, le infrastrutture esterne sono fin da subito cadute vittime delle sindromi nimby delle zone circostanti, i piccoli aeroporti di Linate, Bergamo, Brescia e Venezia non sono non si sono "razionalizzati" con Malpensa, ma hanno accresciuto la loro importanza nel nord Italia; contemporaneamente, nel corso della tredicesima legislatura, i governi Prodi / D'Alema / Amato hanno emesso, in materia di "flussi e deflussi", ben cinque decreti ministeriali ed uno della presidenza del consiglio, ognuno in contrasto con i precedenti.
KLM, vista la mala parata, ha girato i tacchi e s'è sposata con Air France. Occasione d'oro persa nel momento peggiore e nel modo peggiore.
Da quel momento, Alitalia ha provato a camminare da sola, ma con zoppicare sempre più accentuato.
Ora, la storia recente.
Il 2 dicembre 2006 il governo Prodi annuncia la cessione del 49,9% del pacchetto azionario Alitalia in mano al Ministero dell'Economia e delle Finanze tramite un'asta. La chiama "privatizzazione".
Il 29 dicembre 2006 viene pubblicato il bando e tutti si accorgono che quella non è un'asta, ma un "beauty contest", cioè una sorta di gara per spogli successivi nei quali i pretendenti vengono via via esaminati (e scartati) in base ai rispettivi piani industriali e finanziari; il tutto senza regole trasparenti ma con alcuni "paletti" posti dal venditore che, nel caso di Alitalia, erano l'italianità, il mantenimento dei livelli occupazionali, il mantenimento di due hub.
Si fece viva una dozzina di "pretendenti", compreso un privato cittadino che, polemicamente, disse di voler comprare l'Alitalia dimostrando così la ridicolaggine dell'operazione.
Ad uno ad uno, tutti se la diedero a gambe e ben presto rimasero in tre: AirOne/AP Holding, Texas Pacific Group/Mediobanca e Aeroflot/Unicredit.
Passa poco tempo, ed anche Aeroflot e gli americani sbattono la porta schifati dagli assurdi paletti posti dal governo italiano.
Era il 30 maggio 2007, con Intesa/AirOne ultima rimasta "in gara" (sic!), quando il ministro Bianchi asserì senza alcun pudore (tentando di smarcare l'antitrust) che quello che si voleva per Alitalia non era una privatizzazione, ma una ricapitalizzazione da effettuarsi in piccola parte con i proventi della vendita di una quota di minoranza ed in larghissima parte con i soldi pubblici. Mentre il governo spostava dal 3, al 12, al 23 luglio il termine farlocco per la presentazione delle offerte tecniche, sempre con AirOne unica "in gara".
Vogliamo parlare del perché Aeroflot aveva poco prima mandato a cagare il beauty contest di Prodi e perché, per contro, verrebbe oggi di corsa ad una vera gara bandita da un vero governo? Vogliamo ricordare che, sempre a maggio dell'anno scorso, appena gli americani di TPG si sfilarono, Prodi fece in modo che i suoi amichetti in Intesa/AirOne facessero la proposta indecende ad Aeroflot di "unire gli sforzi" (e le banche) per un inciucione monopartecipato che ha un nome tecnico ben definito (licitazione privata) e precedenti famosi (SME)? E che i russi risposero schifati che 'ste cose da loro succedevano sotto Breznev?
I contratti-capestro che Prodi proponeva agli acquirenti erano senza garanzie: non erano previsti né il negoziato preliminare con i sindacati né la revisione degli accordi su AZ Servizi. Questo, e lo spettro della licitazione privata - anticamera di infiniti ricorsi UE e di figuracce internazionali da non finire - hanno fatto sì che perfino i compagni di merende di Prodi e TPS abbandonassero la barca. Pensa che fini econmisti.
"La Commissione europea non autorizzerà nuovi piani di salvataggio per Alitalia. La Commissione ha autorizzato un'operazione di salvataggio nel 2004. Questo impedisce che ne vengano approvati altri."
Giugno 2007
"Noi non possiamo pensare di fare strappi, dobbiamo collaborare nella Commissione europea e con il Consiglio europeo per definire le regole e attenersi a quelle regole."
Giorgio Napolitano, luglio 2007
Vogliamo parlare del famoso mercoledì
18 luglio 2007? Di quando, ad AirOne appena ritirata, a Legge Marzano che bussa alla porta, a governo e
casse Alitalia alla canna del gas i sindacati cosa fanno?
Scioperano bloccando 140 voli con gli italiani (e gli stranieri) in partenza per protestare contro il precariato e lo "scalone"!
Come disse un acuto osservatore, fu come se un condannato a morte pretendesse di posticipare di un giorno l'esecuzione perché doveva manifestare in piazza contro le aliquote fiscali troppo basse applicate ai servizi funebri.
Quello fu l'ultimo atto della svendita Alitalia agli amichetti degli amici, fallita miseramente come fallì miseramente la svendita della SME agli stessi amichetti degli amici. E la cosa divertente è che chi quella svendita impedì s'è dovuto subire dieci anni di processi per poi vedersi assolto con formula piena (ma questo non si dice in giro).
Oppure vogliamo ricordare l'altro giorno terribile, il
26 luglio 2007? Quello dell'audizione in Commissione parlamentare di Padoa Schioppa sul fallimento della finta gara, allietato in mattinata dalla notizia che
Toto (principale azionista di AirOne) si era visto privatamente con Fausto Bertinotti - Presidente della Camera dei Deputati - per comunicargli che sarebbe stato pronto ad un'offerta vincolante su Alitalia a patto che fossero stati rivisti alcuni punti-chiave (livelli occupazionali, vincolo a non rivendere, ecc.)!
Quello che quando una cosa simile successe in Costa D'Avorio intervenne la Banca Mondiale congelando tutte le operazioni finanziarie di quel paese finché il governo non avesse fatto marcia indietro e chiesto scusa.
Quello che ci fece prendere per il culo da tutta la stampa mondiale per settimane, roba da rischiare di uscire dall'Europa (ma che i tiggì e i giornaletti degli amici degli amici si sono guardati bene dal pubblicizzare).
Vogliamo parlare del primo atto di
Maurizio Prato (altro prodi-amichetto e dirigente IRI di lungo corso) come ad di Alitalia, con l'azienda a picco, gli investitori e gli acquirenti stranieri scappati a gambe levate, con un milione di euro al giorno di perdite, con nessuna prospettiva se non il tirare a campare? Un piano industriale? Un sondaggio sul mercato? Incontri bilaterali con investitori stranieri? Naaaaaa... Ha convocato tutte e nove le sigle sindacali per "concertare". Erano gli
inizi di agosto 2007 e la strategia del rinvio già faceva venire i primi dubbi sul fatto che, forse, tutto fosse già deciso e si faceva solo melina in attesa che il vero beneficiario fosse pronto per venire a galla.
Intanto, ovviamente, il tutto è scandito dalle
indagini della Consob per sospetto insider trading e di varie Procure per le dichiarazioni "sospette" rilasciate da esponenti politici e di governo ad ogni svolta. Compresa la piccata ed arrogante replica di Bianchi: "
i ministri competenti hanno diritto di esprimere la propria opinione sul vettore". Ed è a questo punto che
indiscrezioni di stampa ricominciano a fare il nome di Air France. Era il
2 agosto 2007.
Ma Prodi, Prato, TPS e tutta la cricca ovviamente già sapevano da tempo, il piano (seppur a mozzichi e bocconi) andava avanti come previsto. Ed ecco che Prato dopo un po' di melina (che, ricordiamo, ci costa un milione di euro ogni giorno) tira fuori dal cilindro un "
programma di sopravvivenza", immediatamente approvato dal CdA, che non è altro che la fotocopia punto per punto di quello che - guarda tu la combinazione! - cavò fuori dai guai Air France qualche anno prima.
Sarebbe qui troppo lungo descriverlo, basti sapere che
era un buon piano (anche se copiato/comprato/plagiato/ecc.), ma era anche costoso in termini di scelte da fare e cose cui rinunciare, molto più di come lo fu per la compagnia francese. Nonostante ciò, quella fu forse l'unica cosa buona che i boiardi fecero in vita loro; ma dato che Prodi porta sfiga, andò male.
Non avevano fatto i conti né col sindacato dei piloti (che non sentì ragioni non appena si parlò di riduzione di stipendio a fronte di quote societarie) né con RyanAir, che irruppe a sparigliare le carte con le sue mire su Malpensa.
Come se non bastasse, i mercati volgevano al rosso e la propensione al rischio si abbassava ogni giorno:
Air France, di conseguenza, alzò la posta. Unico "hub" Fiumicino e chiusura degli scali inutili come quello di Reggio Calabria (tre voli al giorno, di cui due sponsorizzati da politici locali).
Il tutto, ovviamente, passa sotto
strettissimo silenzio stampa: nessuno si accorge che Air France sta dietro la faccenda, tutti credono che la compagnia francese sia impegnata nell'accordo con Iberia e che Alitalia sia ancora in altalenanti trattative, seppur da lontano, con
Aeroflot: sono i giorni di Alitalia come "ramo di extra-lusso" della compagnia russa. Lo ricordate, si? Ci furono pure voci di possibili "scambi" di tecnologia tra Italia e Russia, in realtà alla Russia andavano sia i debiti Alitalia che tecnologie aerospaziali (sempre italiane)... strane concomitanze tra gli incontri Alitalia/Aeroflot e quelli degli istituti di affari internazionali a Bruxelles....
Siamo alla fine di settembre 2007, ed intanto giù tragiche dichiarazioni sullo "
stato comatoso" di Alitalia (parole testuali di Maurizio Prato davanti alla Commissione LL.PP. del Senato, queste sì finite sui giornali).
Ma nessuno è perfetto, e il
10 dicembre 2007 Maurizio Prato, intervistato dal Corriere del Pd, afferma pubblicamente che tra i sei contendenti finalmente (ri)ammessi a correre dal CdA l'8 ottobre precedente (Aeroflot, Air France/Klm, AirOne/AP Holding, Cordata Baldassarre, Tpg e Lufthansa) "preferisce" - ma guarda tu la combinazione -
Air France. Altra situazione da Costa D'Avorio che passa completamente sotto silenzio con la complicità della stampa e delle
TV amiche degli amici.
E intanto, alla faccia del mercato, si susseguono i vertici a Palazzo Chigi nei quali il governo (la "politica") continua a "monitorare" (trad.: pilotare) le trattative. I rinvii per l'ennesimo "avvio di trattative" si susseguono (sempre a un milione al giorno): dal 13 dicembre si slitta al 18 e la causa sono le
spaccature tra i ministri di Prodi.
Ennesime figure di cacca di fronte al mondo, con gli investitori ed i possibili acquirenti che si rendono sempre più conto di come la politica non potrà mai essere estirpata dalla trattativa.
Infatti, Air France si spaventa e minaccia (telefonicamente) di far cadere tutto l'amba aradam: Prodi sobbalza sulla sedia e, mentre tenta di correre ai ripari, se ne esce (era il 17 dicembre 2007) con la famossissima ed apparentemente incomprensibile frase "
Alitalia? Non c'è fretta" affidata alla fedele bocca del ministro Bianchi. Altra melina da due milioni al giorno.
Poco prima di Natale, Sarkozy viene di persona a fare "gli auguri" a Prodi (assieme a Zapatero), facendo finta di discutere a tre del farlocco superamento dell'economia spagnola su quella italiana e delle questioni Telefonica-TelecomItalia. In tutta Italia si leccano le ferite inflitte dal disastroso sciopero dei Tir.
Intanto, ci si scanna sulle intercettazioni natalizie di Berlusconi-Saccà, e la gente si distrae.
E così arriviamo finalmente - lisci lisci e col panettone in panza - al giorno fatidico, il
28 dicembre 2007, quando Padoa Schioppa annuncia che
l'unico interlocutore per Alitalia è - ma tu guarda la combinazione! - Air France, che intanto aveva finito di approntare il suo piano industriale. Corrado Passera fa il suo tempestivo (e concordato) passo indietro. Quella che doveva essere una gara, risultato poi un beauty contest, è diventata quello che nei sogni di Prodi doveva essere ed è sempre stata:
una licitazione privata ordita sottobanco per quasi due anni. Tombola.
Le speculazioni in borsa non si fermano, il
28 dicembre Alitalia schizza a 76 centesimi per azione, a fronte dei 35 che si leggono nell'offerta Air France. Ovviamente dopo l'ennesima salva di dichiarazioni di ministri, sottosegretari, portaborse, nani e ballerine della banda Prodi. Ci fu più di un analista di borsa perplesso, ma - guarda tu il caso! - nessun pubblico ministero.
Contemporaneamente,
Padoa Schioppa compì il suo capolavoro: annunciò che avrebbe chiuso la questione in otto settimane (fregandosene della deadline imposta dal CdA, cioè il 15 gennaio 2008) e, contemporaneamente, che
lo Stato italiano non avrebbe poi ceduto proprio tutto tutto il 49,9% in suo possesso. Si si, mi sa un po' di meno, dài. Ci teniamo qualcosina.
E lì
Jean-Cyril Spinetta iniziò a sentir puzza di bruciato a sua volta. Vuoi vedere che Prodi me lo sta buttando in quel posto?, pensò.
24 gennaio 2008, ore 20:43.
Prodi crolla e, con lui, tutto il castello pazientemente costruito da lui stesso e dai suoi amici sulla svendita di Alitalia ai francesi.
Oh, con questo va detto che lo schifo è sul metodo, non sul merito: ripeto (l'ho già detto) che dal punto di vista industriale sia la soluzione "alla francese" di Prato che quella proprio francese di Spinetta erano se non buone, decenti. Anzi, la seconda - stante lo sfacelo dei conti di Alitalia - era l'unica speranza, dal momento che Air France si sarebbe fatta carico di provvedere all'approvvigionamento di liquidi, dopo che il fondo dei prestiti-ponte, dei "Mengozzi bonds" e dei crediti d'imposta era stato già ampiamente raschiato.
Ma
la crisi di governo ha interrotto l'idillio. Che tanto idillio, ormai, non era già più dal momento che a causa dello scandaloso tentennare del governo italiano, Air France aveva via via guadagnato posizioni di forza nella trattativa, facendo maturare quello che in seguito sarebbe diventato un vero e proprio aut-aut.
Da questo momento in poi, è il disastro (senza contare le perdite giornaliere che hanno già totalizzato, da gennaio 2006, più di 400 milioni di Euro).
Il
31 gennaio è un giorno cruciale:
Alitalia annuncia di aver deciso di mollare gli slot su Malpensa e contemporaneamente
la Sea annuncia l'avvio di una causa legale contro Alitalia per la mostruosa cifra di 1,2 miliardi di Euro.
Le cose si mettono male: i conti dicono che per arrivare a fine 2008 ad Alitalia servono più di 700 milioni di Euro, che non ci sono. A meno che Air France non arrivi all'istante.
Intanto le otto settimane spacciate da Padoa Schioppa sono abbondantemente scadute, e il milione al giorno continua ad essere perso.
Nel programma del Pd presentato da Veltroni non c'è alcuna traccia di Alitalia.Al che, in piena campagna elettorale,
Berlusconi inizia a parlare di "difesa dell'italianità" per Alitalia. Nulla di nuovo, era il primo punto fisso del beauty contest di Prodi; eppure, ora, attira su Berlusconi ogni tipo di insulti. Misteri della politica, eh.
Air France prende tempo, dice che deve studiare le carte, in realtà cerca di capire come si mettono le cose in Italia:
l'endorsement garantitole da Prodi nei mesi precedenti è venuto a mancare, le garanzie di fare il "colpaccio" portandosi a casa per due lire le appetitose rotte Alitalia e, soprattutto, i suoi slot nei principali hub europei - resi ancora più preziosi dall'accordo OpenSkies che va alla firma - iniziano a traballare.
Inoltre,
i sindacati sono incazzati. Dicono che i lavoratori sono in pericolo. Dicono che Air France sta per fagocitare l'azienda. Arriveranno a dire, come vedremo alla fine, che 160 piloti per tre aerei cargo sono congrui. Anzi, se proprio vogliamo intervenire su questo, allora serviranno più aerei. E che ce li dovrà mettere Spinetta, ovviamente.
Il
15 febbraio 2008 finalmente Air France scioglie la riserva ed annuncia che entro il 14 marzo presenterà la sua offerta vincolante.
Il
10 marzo il CdA di Air France approva l'offerta, ma pone precise e stringenti condizioni: primo, serve il parere positivo dell'antitrust europeo; secondo, serve l'OK del prossimo governo italiano; terzo, Sea deve ritirare la causa da 1,2 miliardi di Euro intentata contro Alitalia; quarto, serve l'OK di tutte e nove le sigle sindacali che spadroneggiano in Alitalia.
E' evidente che Spinetta sente molta, moltissima puzza di bruciato e non vuole rimetterci manco mezzo centesimo. Come dargli torto?
Da quel momento,
il governo italiano scompare dalla scena e lascia l'azienda al suo destino.
Il ministro Bianchi dichiara apertamente che è molto, molto meglio aspettare il prossimo governo prima di fare qualsiasi altra mossa. Da Milano giungono ovviamente posizioni durissime: "Per noi Alitalia può pure fallire".
Il tutto a titolo rigorosamente scambiato in borsa. Nessuno protesta, a sinistra.
Il
18 marzo, tutto precipita. Un ridicolo Consiglio dei Ministri con presenti solo Prodi e Padoa Schioppa (mancavano tutti gli altri ministri interessati) approva formalmente l'offerta Air France presentata il 14,
ma stabilisce che il Ministero dell'Economia e delle Finanze "continuerà a guardarsi attorno" per eventuali altre offerte migliori.
Durante l'incontro tra azienda, sindacati e francesi uno stizzito Spinetta pronunzia la frase che accende la miccia: "
Non siamo mica obbligati a comprare Alitalia", neanche con l'umiliante scambio di una azione francese per 160 italiane nel quale il pluriennale tentennare prodiano ha sprofondato la trattativa. E fissa per il 31 marzo il limite massimo per avere una risposta.
E' il caos: i sindacati si scatenano e, intravedendo una breccia nell'accordo governo-Air France, vi fanno leva con gli scontri alla Magliana e col secco "no" a qualsiasi tipo di proposta proveniente dalla Francia, senza se e senza ma.
Da questo momento,
Air France si ritira (non ancora formalmente) e
Berlusconi comincia ovviamente a parlare di soluzioni alternative, precisando però che finché Air France non fa un passo indietro ufficiale, non si può fare nulla, dal momento che Prodi aveva architettato la trattativa
in esclusiva. Contemporaneamente, buona parte della classe politica, sindacale e industriale italiana (esclusi ovviamente i prodiani di stretta osservanza) mostra quasi sollievo, dimostrando di non essere poi tanto allineata pro-Air France.
La Triplice canta vittoria, nei corridoi della Magliana si vedono i ragazzini del Call Center ed i dipendenti di AZ Servizi che esultano per la cacciata dell'invasore.
Chi è veramente scontento e spaventato è il corpo dipendente di AZ Fly, i cosiddetti "colletti bianchi" cui vengono dedicate le prime pagine il 19 marzo. Protestano con slogan del tipo "Spinettà nun ce lassà", hanno capito il disastro che è stato compiuto soprattutto sulla loro pelle. Inizia la diaspora tra i lavoratori e tra lavoratori e sindacati che, rimasti unici interlocutori di Air France, avevano pensato di avere a che fare con un assessore di provincia ubriaco e non con Jean-Cyril Spinetta.
Che, lo ricordo, non è scemo: la debolezza del governo italiano nella "trattativa" da esso stesso concepita ha portato Air France su posizioni assolutamente di forza, tanto che alla fine quello che era un buon piano industriale e di risanamento - nonché l'unica possibilità concreta per portare Alitalia (o quel poco che ne sarebbe rimasto) in Europa - era diventato un acquisto sulla bancarella del mercato delle pulci. Svalutazione delle azioni Alitalia a 10 centesimi, rapporto 160 a 1 con quelle Air France, deviazione dei fondi per la cassa integrazione dei 1600 esuberi, tutte le rotte e gli slot, cespiti patrimoniali, terreni, possedimenti, capitalizzazione, mercato del turismo e millemila altri aspetti che configuravano una vera e propria cannibalizzazione.
Prodi aveva creato il mostro, l'aveva fatto incazzare e poi era scappato scaricando tutto sui sindacati e sul nascente governo.E dire che, seppure obtorto collo e tralasciando le elemosina, le premesse per un buon "deal" tutto sommato c'erano: break-even già nel 2010, debiti ripianati, un miliardo di Euro di investimenti, ristrutturazione del solo 10% della forza lavoro, 3300 dipendenti AZ Servizi (nullafacenti o quasi) reintegrati in AZ Fly, una diminuzione della flotta inferiore al 20%, contratti di fornitura esclusivi a favore di AZ Servizi per otto anni, moratoria di tre anni su AZ Cargo. Ed erano tutte cose mutuate dal piano che salvò Air France a suo tempo.
Peccato che come controparte qui c'erano Prodi, TPS ed i Nove Nazgul sindacali. E
questa ancora guardabile offerta era già notevolmente inferiore a quella rifiutata a suo tempo da Prodi e dai sindacati nel 2007. Sotto a questo, Spinetta non era proprio disposto a scendere.
E sorvolo sulla figura di cacca totale che l'Italia stava facendo.
Ma qualche margine, in realtà, evidentemente ancora c'era:
di fronte al coro di "no", capitanato da Berlusconi ma subito affiancato da quello di molti esponenti dello stesso governo Prodi, di Confindustria e di diversi media nazionali,
Spinetta rivela che nell'incontro previsto il 25 marzo avrebbe presentato una versione "ritoccata" dell'accordo "finale e definitivo". La speranza era che, dopo 18 mesi di procedure anomale e ondivaghe, la prospettiva di un competitor esterno alla trattativa (virtuale, in quanto la trattativa medesima è blindata) potesse innescare un'inversione di tendenza nel costante peggioramento delle condizioni contrattuali per Alitalia (e, di riflesso, per Malpensa) e del livello di ridicolo internazionale nel quale Prodi stava sprofondando il Paese (questo sempre ben dissimulato dalla stampa degli amici degli amici).
TPS se la fece subito sotto: impose l'ennesima deadline alla trattativa, fissandola ora per il 31 marzo, dicendo che non c'erano più soldi. Nonostante il parere nettamente contrario del ministro Bianchi, che diceva il contrario.
Ma tutti sapevano che la materia del contendere non erano i soldi, ma il tempo che giocava improvvisamente a favore di Berlusconi. Non sia mai.
25 marzo. Puntuale come uno svizzero
arriva la proposta finale, alquanto ammorbidita, di Air France: reintroduzione di tutto l'handling a Fiumicino, che vedrà tornare a sé la manutenzione leggera; separazione degli accordi, tre in AZ Fly per piloti, assistenti di volo e personale a terra, ed uno specifico per AZ Servizi, il critico "contenitore" di precari e giovanissimi.
La
Frankfurter Allgemeine Zeitung, quotidiano tedesco certamente non "berlusconiano" e molto attento a ciò che accade in Italia, per ben tre giorni consecutivi uscì in stampa con altrettanti articoli che
lodavano la "geniale iniziativa" di Berlusconi: il sunto è che, con un colpo solo, era riuscito a far uscire Prodi dal buco dove Veltroni l'aveva chiuso per non sporcare la campagna elettorale; a screditare tutto il castello-patacca di TPS nei diciotto mesi precedenti di finte trattative; aveva fatto emergere il conflitto veltroniano tra Roma e Milano proprio nei giorni in cui Uòlter tentava la sua patetica scalata del Nord con Calearo; aveva messo in luce il conflitto tra Bianchi e Padoa Schioppa sulle disponibilità di cassa in Alitalia (dicevano cose totalmente opposte, taciute dai giornali degli amici degli amici); ovviamente, last but not least, era riuscito a "strappare condizioni migliori" ad Air France proprio in alcuni dei settori più critici dell'azienda. Chapeau.
Da noi, ovviamente, si parlava solo dell'ennesimo articolo criticissimo verso Berlusconi uscito sul Wall Street Journal. Amici degli amici.
Immediatamente, siamo al
26 marzo, parte la
controffensiva mediatica di Prodi: La Stampa di Torino esce con una ormai famosa prima pagina che attribuisce a Berlusconi tutta una serie di nomi fatti circa imprenditori pronti, a sentir il giornalista, a comprare Alitalia il giorno dopo.
L'inevitabile pioggia di smentite chiude il cerchio e ne esce fuori
una perfetta delegittimazione dell'azione berlusconiana i cui frutti erano maturati solo il giorno prima. Chapeau.
D'altronde, mica stiamo parlando di sprovveduti: qua è in azione il fior fiore dello stalinismo in salsa tricolore, i meriti vanno riconosciuti.
Ma Spinetta, che è francese e dei giornalacci italiani se ne frega, continua il suo appeasement: cala un altro asso, e si dice disposto a rivedere alcune cifre sugli esuberi, la sfera d'azione di AZ Servizi in Italia e la posizione della napoletana Atitech. Altri frutti pronti da cogliere.
E questo Spinetta lo fa contro il parere del proprio advisor per l'affare Alitalia. Che non è Merril Lynch, ma - guarda tu la combinazione! -
Francesco Mengozzi, ex ad di Poste Italiane (e della stessa Alitalia) e "amico" di Prodi. Anzi, molto "amico" di Prodi.
Questo, segnatamente, è stato il momento nel quale i sondaggi pre-elettorali hanno affossato definitivamente il PD: dal 26 marzo in avanti il pur flebile (ed assolutamente insufficiente) risalire la china di Veltroni si è interrotto. Ma questa è un'altra storia, che parla sempre di amici degli amici.
Walter Veltroni, in tutta questa vicenda, è stato zitto. Non una parola. Rompe il silenzio solo il
1° aprile con un'uscita degna del giorno: "
Non vorrei che l'obiettivo di bloccare l'AirFrance nascondesse la volontà di far comprare a qualcun altro l'Alitalia a due soldi".
Due soldi sarebbero già tanti, il doppio di quanto offriva Air France d'accordo con Prodi. Poveretto.
Intanto un insperato aiuto finanziario (un rimborso d'imposta) fa lievitare di 175 milioni le casse di Alitalia (forse Bianchi tutti i torti non li aveva, dopo tutto, e TPS si era dimostrato ancora una volta un incompetente). La cosa sembra galvanizzare
i sindacati che, convinti di poter continuare all'infinito la partita, stiracchiano il tavolo delle trattative ben oltre il termine fissato da TPS. La UIL abbandona il tavolo accampando scuse da operetta e tutto slitta al 2 aprile.
Anche Spinetta non sembra avere in effetti moltissima fretta, un cambio al vertice in Italia è sempre più sicuro e la questione OpenSkies / Lufthansa preme a casa sua e rende sempre più appetibile l'acquisizione di Alitalia e, soprattutto, dei suoi preziosissimi slot che potrebbero costituire un'importante porta verso gli USA e quel ricco mercato aereo.
Prende piede l'idea di congelare le trattative fino a dopo le elezioni politiche, e pare un'idea condivisa da tutti (tranne che da Prodi, ovviamente).
Ma il
2 aprile, il giorno successivo, accade l'irreparabile:
Air France abbandona la trattativa e Spinetta se ne va incazzatissimo sbattendo la porta. Maurizio Prato lo segue a ruota e si dimette. Bum.
Fine dei giochi.
Che diavolo era successo? E' presto detto, e non fu certo "colpa di Berlusconi" (ahah) come vanno oggi farneticando i sopravvissuti del PD:
era successo che i trogloditi del sindacato, che purtroppo son mentalmente e culturalmente fermi alla fine dell'800, avevano tirato troppo la corda ed avevano iniziato a prendere per il culo Spinetta, chiedendogli di accollarsi gli oneri di tutte le attività di terra. Portavoce di tutti loro si era fatto Guglielmo Epifani.
Nello specifico, sbandierando la cosa nei TG come "ora presentiamo noi il nostro piano!", pretesero: la non chiusura delle attività Cargo (moratoria sulla moratoria), diminuzione del numero di aeromobili da dismettere (mantenendo il numero di piloti, però), partecipazione di Fintecna all'aumento di capitale (!!!, e qui si sente tutta la puzza di Prodi e TPS dietro ai sindacati) e conferimento della sua quota in AZ Servizi per il 100% alla "Nuova Alitalia" (bum!).
Ovviamente, appena sentite queste farneticazioni, Spinetta ha ruttato in faccia ad Epifani e se n'è tornato a Parigi col primo volo (Air France)."
Interpellata da Alitalia al fine di chiarire la situazione legale creata dall'interruzione dei negoziati fra Air France-Klm e Alitalia, il gruppo Air France-Klm ha comunicato alla compagnia italiana che gli impegni contrattuali presi il 14 marzo scorso con l'obiettivo di lanciare un'offerta pubblica di scambio su Alitalia, non sono piu' validi dal momento che non sono state soddisfatte le condizioni sospensive che dovevano essere attuate prima del lancio dell'offerta."
Parigi,
21 aprile 2008
Eh già,
l'OK dei sindacati era uno dei paletti inamovibili posti da Air France per il buon fine dell'acquisizione. Il fatto che anche il secondo paletto, la causa di Sea contro Alitalia, sia rimasto al suo posto, è a questo punto del tutto ininfluente. Così come per il terzo paletto, l'OK del futuro governo; sul quale peraltro nessuno in cielo ed in terra può fare oggi speculazioni di alcun tipo: le cose sono andate come sono andate e non ci sono appigli per fare ipotesi di scuola.
Non resta che attendere l'insediamento del nuovo governo ed i risultati degli studi di Sin&rgetica e vedere se ci sono i termini per un nuovo tentativo di salvataggio oppure se arriva finalmente il turno della legge Marzano. E intanto, paga Pantalone (ben 300 milioni) e due anni (e ben più di 300 milioni) sono andati in fumo per i giochini da Piccolo Finanziere Sfigato di Prodi, Padoa Schioppa e dei loro complici.
Ora, se qualcuno in tutto ciò
ha il coraggio di vedere la responsabilità "di Berlusconi",
o è scemo o ci fa. Io propendo per la seconda.
[L'immagine è tratta dal sito La Stampa.it]