martedì, settembre 08, 2009

I mali del PdL sono i mali d'Italia

Acque agitate nel PdL, si dice. A guardar da fuori il maggiore partito italiano sembra che ognuno vada per conto proprio, parli di cose diverse, spesso in contrapposizione l'uno con gli altri, non si capisce nulla. Sacconi, Fini, Maroni, Gasparri, Calderoli, Bossi, La Russa. Un coro stonato all'ascolto del quale gongola una sinistra ottusa e idiota, che applaude sgangheratamente con la bava alla bocca come un demente in piena crisi che non capisce un'acca di quel che vede. E così è.


Ma il coro stonato non è così banale come era quello dell'Unione di Romano Prodi: là il caos era insito nello stesso concetto di coalizione impossibile voluta dai reggenti dei Ds, era fine a se stesso e non rappresentava assolutamente il Paese che l'aveva fortunosamente portato al potere. Qui il discorso è ben diverso: qui c'è una schiacciante maggioranza di italiani che ha creduto e continua a credere fermamente nel progetto berlusconiano, ed i continui sondaggi non fanno che confermarlo mese dopo mese configurando una primizia nella storia politica italiana, un'infinita "luna di miele" che è meglio smettere di chiamare in questo modo. Si tratta, molto più semplicemente, di aver azzeccato finalmente la ricetta giusta per tentare di tirare fuori questo paese dalla melma della Prima Repubblica, mai veramente prosciugata.

Ma azzeccare l'idea (e vincerci le elezioni) non basta, evidentemente: servono gli uomini, i cervelli, i cuori. E questi nell'elettorato sono ben presenti ma, allo stesso tempo, frammentati e disorganizzati come è normale che sia in una motitudine; ma allo stesso modo si presentano anche (e soprattutto) i vertici politici da quello stesso elettorato scelti. Semplicemente, i vertici sono disorientati, non sono pronti alla sfida, esattamente come l'elettorato sa cosa vorrebbe ma non ha la più pallida idea di come ottenerlo. Ed intanto i ragionamenti che si sentono sono ancora quelli di trent'anni fa, ancora a discutere di "laicità dello stato" o di RAI e palinsesti: tutte cose che fanno venire in mente nomi e odori di altri tempi, sepolti dalla Storia al pari dei comunisti, eppure ancora vitali nei corridoi dei Palazzi.
Perché? Cosa manca alla politica e nella coscienza italiane per smarcarsi definitivamente da tutto quel ciarpame e decollare finalmente verso un'idea moderna ed efficiente di Stato, Popolo, Nazione?

Berlusconi crede in una cosa molto, molto simile a questo ideale ancora nascosto alla vista. Ci crede fermamente, talmente fermamente e ciecamente che non si rende assolutamente conto che le persone con le quali si trova a doversi confrontare per mettere in atto quel sogno non capiscono minimamente di cosa stia parlando. Come un Franceschini qualsiasi, le colonne portanti del centrodestra italiano risultano ottuse alle vere necessità dell'Italia, preferendovi i particolarismi e le utopie; queste ultime molto più semplici da seguire della realtà, in quanto non abbisognano di essere concretizzate. Citofonare Bertinotti per capire di cosa si sta parlando.

Pochi sono i ministri di questo governo che hanno colto in pieno lo spirito e l'idea berlusconiane (e tocca finire di chiamarle così dal momento che sono lo spirito e l'idea dello stesso Popolo Italiano Sovrano, senza possibilità alcuna di smentita visti i numeri in gioco). Sono pochi, dicevo, questi ministri ed esponenti politici: Renato Brunetta, Roberto Maroni, Mariastella Gelmini, Franco Frattini, Giorgia Meloni (per quel poco che può fare) e pochissimi altri risultano al di sopra di qualunque sospetto per il loro operato cristallino e tutto dedito al bene del Paese; altrettanto, purtroppo, non può dirsi del resto della compagine di governo, sempre pronta a berciare su questo o su quello o ad appecoronarsi di fronte al primo che passa sbandierando un qualche vessillo politicamente corretto, Gianfranco Fini in testa. Qui non è questione di partito di provenienza. E non si salvano neanche i sindaci e gli amministratori locali che - pure - hanno praticamente conquistato l'Italia alle ultime amministrative: uno su tutti, Gianni Alemanno, l'uomo che invariabilmente per primo arriva al muro del pianto del mea culpa verso tutto e tutti, il sindaco delle ferme condanne e delle parole al vento. E la cosa peggiore è che tutti sembrano ipersensibili alle stronzate che provengono da sinistra e dalle altre forze politiche della cosiddetta "opposizione": basta che uno qualsiasi di essi latri una cosa a caso (e non è difficile) che di qua è tutta un'agitazione, manco avessero parlato il Papa o l'Imperatore dell'Universo in persona.

Cosa serve, allora? Semplice, le palle. Ciò che manca storicamente all'italiano e, di conseguenze, al politico medio italiano. Le palle. Le palle di fregarsene delle prassi e delle abitudini da Prima Repubblica e di tirare dritto verso gli obiettivi che hanno portato alla vittoria elettorale, che poi sono né più né meno quello che gli italiani chiedono - infantilmente, seppur sacrosantamente - a gran voce. Le palle di non guardare in faccia nessuno, di ignorare o al massimo di degnare di un'occhiata di disprezzo i molti rompiballe che inevitabilmente si ammassano ai piedi del trono per reclamare, alzare ditini, questionare. Le palle di ricacciare indietro a calci in faccia chiunque tenti di arrampicarsi su quel trono o di segarne le gambe solo perché sopra non c'è lui, con buona pace delle libere elezioni, della democrazia e della Costituzione. Le palle di chiamare le cose col loro nome: clandestini, eversivi, pennivendoli, vandali, fancazzisti e delinquenti; e non "migranti", "disobbedienti", "giornalisti giudiziari d'inchiesta", "writers", "disoccupati organizzati" e "colti da raptus". Le palle di scrivere su un quotidiano pane al pane e vino al vino con la certezza che se si riprende un articolo dopo un anno non lo si trovi ridicolo o contraddittorio, che rimanga sempre uguale nel tempo e di fronte al giudizio del popolo. Le palle di fare la voce grossa con chi - a prescindere dal "peso" politico o sociale che abbia, nazionale o internazionale che sia - si azzardi anche solo a mettere in dubbio la liceità delle scelte popolari, della sovranità nazionale, della sicurezza dei cittadini, dei diritti veri e non presunti o inventati. Le palle di silurare senza pietà chiunque sgarri anche di un centimetro dall'interesse generale, assicurandosi che esso venga perseguito a tutti i costi, a prescindere dai mezzi messi in campo. Le palle di tenere informata la gente giorno per giorno su come si sta andando avanti, sulle difficoltà e sui successi, sui nemici abbattuti e sugli amici conquistati, sui programmi e sui consuntivi. Trasparenza. Azione. Spregiudicatezza. Fermezza. "Country First", come dicono gli americani (certi americani, per lo meno).

L'Italia non può e non deve permettersi compromessi al proprio sollevarsi dalla polvere, chiunque ne ventili anche solo mezzo va emarginato all'istante ed additato pubblicamente come pericolo per la collettività. E se questo qualche decerebrato lo chiama "fascismo", allora che "fascismo" sia! Senza se e senza ma. I nostri figli, nipoti e pronipoti ringrazieranno, compresi quelli del decerebrato, se ha avuto la ventura di riprodursi.

Il PdL è a tutt'oggi la cosa più vicina alla possibilità di iniziare un cammino verso questa meta che l'Italia abbia mai visto dall'inizio della sua orribile storia, quella stessa storia che cariatidi e cadaveri ogni anno si ostinano a celebrare come automi zombificati nella convinzione di ricordare qualcosa di bellissimo e sublime: tutto quel sangue non è servito a nulla, NULLA!, se oggi si consente ad un fariseo qualsiasi di alzare il ditino ed anteporre i cazzi propri al bene comune facendo deviare il Paese dall'unica strada che lo tiri fuori dal buio medioevo dal quale non è mai uscito.

Sessanta milioni di teste hanno un'idea abbastanza precisa di come vorrebbero questo Paese e possono permettersi di discuterne ed avere sfumature diverse in relazione ad essa; per contro, cento teste governanti non possono permettersi stonature, devono cantare come un sol'uomo o è la fine. Che prendano esempio da chi non ha mai cambiato idea in vita sua e che le palle dimostra ogni giorno di averne da vendere, e lo seguano: non devono fare altro che tenere la bocca cucita, il culo sulla sedia a lavorare e fare ciecamente quello che viene detto loro di fare.

Altrimenti, l'unica conclusione possibile è che cento teste sono troppe. Cominciamo a sfoltire. E' una strada pericolosa, ma ce ne faremo una ragione; se ne faranno una i nostri figli.

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