venerdì, dicembre 11, 2009

Distinzioni e differenze


C'era da aspettarselo. All'indomani della consegna del Nobel per la pace a Barack Obama, nella stampa "liberal" (chiamiamola così) di tutto il mondo è un generalizzato arrampicarsi sugli specchi nel vano tentativo di spiegare l'inspiegabile; come sia possibile, cioè, che un'icona del buonismo progressista come il neopresidente americano possa contemporaneamente essere incensato da un premio "preventivo" nello stesso giorno in cui manda decine di migliaia di soldati ed equipaggiamenti da guerra in Afghanistan. E, soprattutto, come sia possibile che ciò sia sostanzialmente diverso da quanto fece Bush all'indomani dell'Undici Settembre e negli difficili anni a seguire.
Perché - make no mistake - è sostanzialmente diverso, deve esserlo, per definizione. Quindi ne consegue il florilegio di analisi, interpretazioni ed - appunto - arrampicamenti sugli specchi degli editorialisti "de sinistra", tra i quali scegliamo l'ineffabile Vittorio Zucconi dall'immancabile Repubblica, vero passatempo per gli appassionati del settore.
Apprendiamo così della "riluttanza" con la quale il "soldato Obama" ha risposto alla chiamata dello Zio Sam, il travaglio interiore ed il dramma dell'uomo nel momento in cui ha dovuto anteporre la tradizione democrat americana (l'interventismo militare) alle scintillanti notti della campagna elettorale; sì, perché lui - Obama - non voleva di certo passare per guerrafondaio (sai, centomila soldati non sono proprio bruscolini), ma perdiana! s'è trovato con le mani legate. E giù di analisi sul "pacifismo vs. pacificità", concetti "distinti e non differenti", che pare di sentir parlare Veltroni mentre fa il verso a Bertinotti. E poi Churchill, Truman, la Corea, il Vietnam. La Storia.
Già, la Storia. A scorrere il pindarico pezzo di Zucconi, però, ne manca un pezzo non secondario: l'Undici Settembre è artatamente nominato solo di striscio: di fatto, si passa d'un colpo da Wilson all'Iraq post-Bush in un tripudio di "necessaria pacificità non-pacifista" nel quale le tremila e passa vittime innocenti del più atroce attentato terroristico mai perpretato paiono essere sono solo "la scusa" usata dall'ONU per avallare l'invasione dell'Afghanistan (e per questo considerata giusta), ma smettono di colpo di esserlo quando il lavoro va continuato nell'Iraq di Saddam Hussein e magari oltre.
Nuovamente, make no mistake: gli errori (appunto) commessi dall'amministrazione Bush e dai vertici militari statunitensi nella gestione del "dopoguerra" in Iraq (ed in parte in Afghanistan) sono incontrovertibili, ma non sono in discussione in questo frangente: qui non si sta discutendo di tattiche militari, ma di motivazioni politiche, etiche, ideologiche, perfino religiose che si trovano a monte di quelle tattiche. E chiunque dotato del minimo sindacale di onestà intellettuale non può negare che Barack Obama, al posto di Bush, il 12 settembre 2001 si sarebbe comportato come e più duramente del suo predecessore. E' la Storia a dimostrarlo, quella dei presidenti democratici del '900: sono loro ad aver iniziato tutte le guerre che hanno visto coinvolti gli Stati Uniti, guerre che sono state chiuse sempre da presidenti repubblicani. Con l'eccezione di George W. Bush, ovviamente, a seguito dell'eccezione rappresentata dall'Undici Settembre: questa guerra non è come le precedenti, non esistono eserciti, linee di fronte e nazioni contrapposte. Qui Obama che si ritrova la "pappa pronta" e buona parte del lavoro già fatto con al Qaeda smembrata da una guerra asimmetrica ormai padroneggiata nei suoi fondamentali, con un dittatore in meno del quale preoccuparsi, con l'Iran isolato dal resto del mondo, il tutto portato avanti nonostante l'ostilità europea ed il pesantissimo tributo in termini di vite americane. Ad Obama tocca ora l'exit strategy dopo il colpo di grazia, altro che "pacifico non-pacifista".
In tutto ciò assorda il silenzio della UE che, mancando di una politica comune in materia di difesa, ha seguito od osteggiato gli USA in ordine sparso, seguendo la pancia e gli istinti dei rispettivi colori di governo; il tutto comodamente appollaiati sotto l'ombrello protettivo che proprio gli USA continuano, nonostante tutto, a garantire all'intero pianeta. A prescindere dal colore del suo presidente.

(Immagine tratta da theliberaldemocrat.com)

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