mercoledì, dicembre 23, 2009

Giuliani non procurò allarme


Il gip del Tribunale di Sulmona ha archiviato il procedimento per procurato allarme a carico di Giampaolo Giuliani, sostenendo che la teoria sul rapporto tra le emissioni di gas radon ed i terremoti è "attendibile anche a livello internazionale" e che, di conseguenza, non poteva dirsi "inesistente" un "pericolo di terremoto".
Ora, fermo restando che se fosse veramente così Giuliani sarebbe l'uomo più ricco del mondo e non uno sfigato ridotto a chiedere asilo al blog di Beppe Grillo, fa sorridere il "parere scientifico" del giudice secondo il quale la sua città - Sulmona - è, sostanzialmente, solo per un qualche scherzo della natura che non è stata rasa al suolo dal terremoto "previsto" dal tecnico del Laboratorio del Gran Sasso, con epicentro proprio là.

La quiete prima della tempesta


Il livello di intolleranza politica raggiunto negli ultimi mesi era non più sostenibile, ed il mancato (occhio: non fallito, mancato) attentato a Berlusconi è stata forse la classica goccia. Più che altro, ha smascherato i veri agitatori (molti da una parte, ma alcuni anche dall'altra) responsabili del sostanziale blocco totale della politica italiana a partire da aprile scorso, almeno per quanto riguarda la percezione da parte dei cittadini (in realtà, il governo continua a lavorare a pieno ritmo, anche se i giornali tendono ad occuparsi d'altro).

Pochi lo ricordano, ma tutto cominciò con il discorso che Berlusconi pronunciò ad Onna in occasione del 25 aprile, che risultò essere oltremodo conciliante sia con le opposizioni che con la magistratura, nonché con la Presidenza della Repubblica, tanto che "spaventò" non poco i suoi avversari: in quel momento preciso, puntando anche all'ondata di consenso capitalizzata con l'accoppiata "gestione terremoto + G8", scattò l'operazione sputtanamento iniziata con la bufala di Noemi, continuata col divorzio "pilotato" e sponsorizzato, proseguita con Villa Certosa, le "dieci domande" su piazza europea, i paginoni di Di Pietro, la D'Addario, e poi la bocciatura del Lodo Alfano, le motivazioni del processo Mills, la richiesta miliardaria di De Benedetti contro Mediaset, tutto condito dal controcanto di Annozero e della sua compagnia di figuranti (nel vero senso della parola, purtroppo), una volta la settimana e in prima serata sulla RAI.
A far da contraltare a questo, qualche "uscita" di Bossi e di Cicchitto (quest'ultimo l'unico che avrebbe fatto veramente meglio a tacere, da questa parte del fiume).
Tutto ciò ha avuto due effetti evidenti: da un lato ha reso irrespirabile il già rissoso clima politico italiano e, dall'altro, ha radicalizzato le posizioni dei due schieramenti; anche se, da un punto di vista strettamente numerico, il maggior vantaggio l'ha ottenuto proprio Berlusconi che (sono dati di oggi) vede il "suo" centrodestra salire fino al 50,5% ed il suo consenso personale risalire costantemente.

Fin qui la storia. Ora, le congetture.

Sarò pessimista, ma non credo che il pur evidente "abbassamento di toni" che vediamo in questi giorni preluda a qualcosa di strutturale: non dimentichiamo che siamo a poche settimane di distanza dalle elezioni Regionali.
C'è da fare i conti con il Partito Democratico: la leadership Bersani verrà messa a durissima prova dalle urne (con buona pace delle "primarie"), non credo che da quelle parti vi sia un qualche interesse a mostrarsi concilianti in questo frangente. La priorità è raccogliere voti, ed il modo più semplice è quello di farlo fare a Di Pietro.
Poi ci sono i neoproporzionalisti che scalpitano: Casini, Fini, ampie parti del Partito Democratico capitanate da Enrico Letta e da Massimo D'Alema, tutti mirano ad un "dopo Berlusconi" (che è solo nei loro sogni, per fortuna) che sia un sostanziale passo indietro verso la Prima Repubblica e la supremazia dei partiti. Poco importa che gli italiani non sopporterebbero mai una simile inversione di marcia: lorsignori sanno che - stando le cose come stanno - l'unico modo per tornare al Potere è quello, diluirlo.
Quindi, credo che passate le feste si riprenderà da dove si era lasciato: dalla statuetta del Duomo in volo.

lunedì, dicembre 21, 2009

Evoluzioni

Anche la muffa cresce. Beppe Grillo, invece, no.

giovedì, dicembre 17, 2009

Love is...

Beppe Grillo: "Di Pietro è una persona profondamente intelligente, ed io lo adoro".
Eh, se fosse anche bello, sarebbe perfetto.

Cara Sonia


«Non posso dare solidarietà ad un Presidente del Consiglio che è un frequentatore di minorenni, un piduista, un corruttore, un frequentatore di mafiosi, un uomo che non ha il senso dello Stato».
- Sonia Alfano, IdV

«Cara Sonia, ma tu chi cazzo sei?»
- Il popolo italiano (tranne alcuni)

martedì, dicembre 15, 2009

Brainwashing


Ecco il contenuto di una mail appena giunta da parte della Redazione Web del Partito Democratico.

«Caro Mobilitante,
ti scrivo dopo l'aggressione di cui è stata vittima il Presidente del Consiglio.
Un atto che, come ha detto Pier Luigi Bersani recandosi in visita dal premier all’ospedale San Raffaele di Milano, condanniamo senza se e senza ma.
Su questo la posizione del Pd è chiarissima ed univoca, ogni tentativo di attribuire al Partito Democratico posizioni diverse è un gioco strumentale e inaccettabile.
Eppure c'è chi sta tentando di farlo, per questo ti chiedo di far sapere a tutti come stanno le cose, seguendo le indicazioni dell’azione del giorno di Mobilitanti.it.
Noi tutti, come ha chiarito bene anche il presidente dell’Assemblea nazionale del PD Rosy Bindi, abbiamo espresso solidarietà a Berlusconi, rifiutiamo e condanniamo ogni forma di violenza, anche quella politica, per restare fermamente ancorati ai valori delle libertà costituzionali. Fallo sapere, è importante.»

Ecco un bell'esempio di lavaggio del cervello dell'Apparato politico nei confronti della base.

In un'intervista a La Stampa, il 14 dicembre, la Bindi aveva affermato che «tra gli artefici di questo clima c'è anche Berlusconi, non può sentirsi la vittima». Se non c'è vittima, non c'è violenza. Per la Bindi, dunque, spaccare la faccia ad un uomo - prima che ad un primo ministro - non è violenza. Presumibilmente è un lecito atto di dissenso politico.

Aveva ragione, Berlusconi, quando la definì "più bella che intelligente". Fallo sapere, è importante.

lunedì, dicembre 14, 2009

Mandanti


Classico copione. Si prende lo scemo del villaggio e lo si manda avanti, così i veri "eroi" restano puliti.
Che i mandanti dell'aggressione a Berlusconi siano i professionisti dell'odio pseudopolitico che tutti conosciamo è evidente anche al più miope degli osservatori distratti; e la conferma sono proprio le parole di Tartaglia "ho agito per rancore".
Rancore? Contro chi? E perché?
E' la domanda che si legge negli occhi del premier in tutte le foto che lo ritraggono sanguinante subito dopo il fatto: perché? Perché si cerca di mettere in carreggiata questo Paese? Perché si tenta di tenerlo di diritto nel millennio nel quale incidentalmente si trova? Perché si cerca di aggiornare un sistema vecchio, consunto, incastrato, frustrante? Perché si vuol dare ai nostri figli un futuro, prima che un futuro migliore?
No. Niente di tutto questo. Il "rancore" di Tartaglia è artificiale, costruito, istigato, instillato, coltivato ed infine sfruttato dai mandanti di cui sopra. Persone con nome e cognome che hanno votato la loro esistenza al raggiungimento del Potere a spese dell'intero Paese.
Ha voglia Ezio Mauro, oggi su Repubblica, a fare l'orsolina di circostanza: il Paese non dimentica. Fino a ieri pomeriggio essi erano i mandanti morali di una campagna d'odio senza precedenti; da ieri sera sono i mandanti materiali di una violenza che nega tutto ciò che è politica.
E' la certificazione del loro fallimento, di fronte al mondo intero.

domenica, dicembre 13, 2009

Grazie Tonino


sabato, dicembre 12, 2009

Si salvi chi può: Repubblica scarica Dell'Utri


Quando la nave affonda, si sa, i topi scappano. Ed i sorci di Largo Fochetti, che in materia di colate a picco ne sanno - loro malgrado - una più del diavolo, hanno subodorato per primi la catastrofe imminente e in queste ore si stanno affrettando verso il ponte di coperta, in ordine sparso e in preda al panico.
Il primo naso a fare capolino dal boccaporto è quello dell'appuntato D'Avanzo, il sicario con la penna: nel suo sproloquio odierno fa lo sfinito come un Dell'Utri qualsiasi e prega i giudici di finirla presto con questo processo che - sono parole sue - è ormai diventato "anomalo".
Eh già, in effetti non sta andando per nulla come nei sogni degli antiberluscones d'accatto: qua c'è il serio rischio che il senatore faccia la fine di Andreotti e che venga assolto. Disastro.
Ma come evitare l'inevitabile, ormai? Le armi sono spuntate, gli intrugli scaduti, le storielle le conoscono anche alle elementari: non c'è più nulla da fare, le piazze rimangono vuote, le urne non ne parliamo, la CGIL è isolata e divisa, Minzolini in TV osa parlare disallineato, i sondaggi sono un disastro berlusconiano che non ti dico, Beppe Grillo lo seguono in tre e si stanno pure chiedendo se continuare, Santoro ha perso i suoi teatrini ad Annozero, travolti dal ridicolo. Per giunta, la nuova promessa Fini è stata sputtanata a morte proprio da Repubblica stessa, che nel pubblicare il suo "fuori onda" con la "bomba atomica Spatuzza" l'ha consegnato alla Storia come il politico più incapace mai visto, tanto che ora gli fa la corte Rutelli.
Ciliegina sulla torta, Berlusconi si appresta ad assestare il colpo di grazia a questi sfascianazioni con un'oceanico Predellino 2.0 che preannuncia la nascita della Terza Repubblica, finalmente ripulita dal letame che ha appestato la Seconda, mentre questi speravano nel ritorno della Prima...
Le scialuppe non bastano per tutti, si sa: affrettarsi, l'acqua è fredda.

venerdì, dicembre 11, 2009

Il gioco è finito

Ennesimo fiasco consecutivo: nel penultimo l'«atomico» Spatuzza si incarta e fa la figura del picciotto balbuziente (qual è, del resto), poi il superboss Graviano che sconfessa tutto l'impianto dipietris-travaglino pazientemente costruito in decine di puntate di Annozero e manda all'aria i delirii di onnipotenza dei manettari alle vongole di mezza Europa.
Silvio Berlusconi lo sapeva, ovviamente (chi meglio di lui?): ieri, infatti, aveva già iniziato a preparare il terreno per la controffensiva che è in partenza, e che non sarà uno scherzo. Anzi, sarà più una resa dei conti finale, a chiusura di sedici anni di stillicidio che ha quasi distrutto il Paese, rendendolo tragicamente immobile ed esposto come non mai.
Domenica, a Milano, partirà l'operazione "Italia 3.0": lancio della Terza Repubblica dalle ceneri fumanti della Seconda (mai nata del tutto) con la chiamata alle armi - cioè alle urne - del popolo italiano con annessa conta di chi sarà dentro e chi sarà fuori. E' una via senza ritorno, come da più parti si è notato: una volta scatenata, quest'Arma Finale non si ferma più e travolgerà tutto e tutti, e solo i Giusti ed i Meritevoli le sopravviveranno.
Del resto, così non si può andare avanti. Il Paese non può permettere a fascistelli in erba come Di Pietro di minacciare il ritorno agli Anni di Piombo (come ha fatto questa mattina) o a personaggi biechi ed ambigui come Genchi o certi magistrati con l'elmetto di dettare le agende di Governo ed Opposizione, sempre e costantemente in un clima di sospetto, di conflitto latente, di accuse sussurrate o urlate, di sputtanamenti all'estero, finché non ci scapperà sul serio il morto, che con tutta probabilità sarebbe solo il primo di una lunghissima serie.
Soprattutto, la maggioranza ed il Governo non possono permettersi di continuare a covare in seno certe serpi, ad iniziare da Gianfranco Fini per finire con le riottose ed ipocrite ali "liberal" di PdL e dintorni, che non lasciano passare un'ora senza vomitare insulti ed urlare beceri slogan antiberlusconisti ed antiitaliani degni del peggior Beppe Grillo, imitandone puerilmente i ragionamenti malati e miopi.
L'Italia ha di fronte una sfida eccezionale il cui esito è tutto fuorché scontato: mettersi finalmente in piedi per la prima volta, un po' come il Neo di Matrix che apre gli occhi (veri) fuori dal baccello, mentre si risale faticosamente la china della crisi economica, con le spalle gravate dal mostruoso fardello di una società distrutta da decenni di impero culturale becero-illuminista, giacobino, relativista e - diciamolo! - comunista. Riuscire è difficilissimo, ma imperativo. Ed il primo passo è una bella pulizia a fondo dalle incrostazioni interne ed esterne, anche a costo di strapparsi via ampi pezzi di pelle.

Distinzioni e differenze


C'era da aspettarselo. All'indomani della consegna del Nobel per la pace a Barack Obama, nella stampa "liberal" (chiamiamola così) di tutto il mondo è un generalizzato arrampicarsi sugli specchi nel vano tentativo di spiegare l'inspiegabile; come sia possibile, cioè, che un'icona del buonismo progressista come il neopresidente americano possa contemporaneamente essere incensato da un premio "preventivo" nello stesso giorno in cui manda decine di migliaia di soldati ed equipaggiamenti da guerra in Afghanistan. E, soprattutto, come sia possibile che ciò sia sostanzialmente diverso da quanto fece Bush all'indomani dell'Undici Settembre e negli difficili anni a seguire.
Perché - make no mistake - è sostanzialmente diverso, deve esserlo, per definizione. Quindi ne consegue il florilegio di analisi, interpretazioni ed - appunto - arrampicamenti sugli specchi degli editorialisti "de sinistra", tra i quali scegliamo l'ineffabile Vittorio Zucconi dall'immancabile Repubblica, vero passatempo per gli appassionati del settore.
Apprendiamo così della "riluttanza" con la quale il "soldato Obama" ha risposto alla chiamata dello Zio Sam, il travaglio interiore ed il dramma dell'uomo nel momento in cui ha dovuto anteporre la tradizione democrat americana (l'interventismo militare) alle scintillanti notti della campagna elettorale; sì, perché lui - Obama - non voleva di certo passare per guerrafondaio (sai, centomila soldati non sono proprio bruscolini), ma perdiana! s'è trovato con le mani legate. E giù di analisi sul "pacifismo vs. pacificità", concetti "distinti e non differenti", che pare di sentir parlare Veltroni mentre fa il verso a Bertinotti. E poi Churchill, Truman, la Corea, il Vietnam. La Storia.
Già, la Storia. A scorrere il pindarico pezzo di Zucconi, però, ne manca un pezzo non secondario: l'Undici Settembre è artatamente nominato solo di striscio: di fatto, si passa d'un colpo da Wilson all'Iraq post-Bush in un tripudio di "necessaria pacificità non-pacifista" nel quale le tremila e passa vittime innocenti del più atroce attentato terroristico mai perpretato paiono essere sono solo "la scusa" usata dall'ONU per avallare l'invasione dell'Afghanistan (e per questo considerata giusta), ma smettono di colpo di esserlo quando il lavoro va continuato nell'Iraq di Saddam Hussein e magari oltre.
Nuovamente, make no mistake: gli errori (appunto) commessi dall'amministrazione Bush e dai vertici militari statunitensi nella gestione del "dopoguerra" in Iraq (ed in parte in Afghanistan) sono incontrovertibili, ma non sono in discussione in questo frangente: qui non si sta discutendo di tattiche militari, ma di motivazioni politiche, etiche, ideologiche, perfino religiose che si trovano a monte di quelle tattiche. E chiunque dotato del minimo sindacale di onestà intellettuale non può negare che Barack Obama, al posto di Bush, il 12 settembre 2001 si sarebbe comportato come e più duramente del suo predecessore. E' la Storia a dimostrarlo, quella dei presidenti democratici del '900: sono loro ad aver iniziato tutte le guerre che hanno visto coinvolti gli Stati Uniti, guerre che sono state chiuse sempre da presidenti repubblicani. Con l'eccezione di George W. Bush, ovviamente, a seguito dell'eccezione rappresentata dall'Undici Settembre: questa guerra non è come le precedenti, non esistono eserciti, linee di fronte e nazioni contrapposte. Qui Obama che si ritrova la "pappa pronta" e buona parte del lavoro già fatto con al Qaeda smembrata da una guerra asimmetrica ormai padroneggiata nei suoi fondamentali, con un dittatore in meno del quale preoccuparsi, con l'Iran isolato dal resto del mondo, il tutto portato avanti nonostante l'ostilità europea ed il pesantissimo tributo in termini di vite americane. Ad Obama tocca ora l'exit strategy dopo il colpo di grazia, altro che "pacifico non-pacifista".
In tutto ciò assorda il silenzio della UE che, mancando di una politica comune in materia di difesa, ha seguito od osteggiato gli USA in ordine sparso, seguendo la pancia e gli istinti dei rispettivi colori di governo; il tutto comodamente appollaiati sotto l'ombrello protettivo che proprio gli USA continuano, nonostante tutto, a garantire all'intero pianeta. A prescindere dal colore del suo presidente.

(Immagine tratta da theliberaldemocrat.com)

giovedì, dicembre 10, 2009

Scelte


Eh, l'aveva detto anche Bush...

Il goal della bandiera

Silvio Berlusconi ha sfruttato il palco europeo per segnare un punticino a favore suo e del Paese nello sporco gioco allo sputtanamento internazionale dell'Italia.
Com'era facile aspettarsi, le reazioni sono state immediate ed unanimi, a cominciare dal traditore Fini: inaudito e gravissimo attacco alle istituzioni democratiche nazionali perpretato in faccia al mondo intero.
Eh, come sono lontani i giorni dei paginoni esteri acquistati con i soldi pubblici da Di Pietro per spiegare come l'Italia fosse messa peggio della Corea del Nord.

martedì, dicembre 08, 2009

Piccoli Guzzanti crescono S01E01


Dopo l'episodio-pilota, lanciamo una nuova serie dedicata a chi, pur professandosi "di centrodestra", si adopera con tutte le forze affinché la sinistra, o peggio Di Pietro, tornino al potere.
Il titolo della serie è volutamente provocatorio nei confronti del senatore Guzzanti: lui la sinistra (intesa come sinistra vera e propria, ma anche come estensione del termine a tutto ciò che puzza di cadavere politico) la odia sinceramente, a differenza dei suoi novelli emuli; eppure, ha ingaggiato contro Berlusconi una battaglia senza quartiere che ha segnato l'inizio dell'offensiva d'estate a suon di puttane e sputtanamenti.
La prima puntata la vince, senza meno, la dietrologia del cazzo (non se la prenda, è un termine scientifico) di Phastidio. Premio al merito per l'inutilità assoluta del post, se non il ricavare qualche "impression" dai manettari di passaggio.

sabato, dicembre 05, 2009

Lasciamo alla sinistra ciò che è della sinistra


Sta succedendo qualcosa di preoccupante all’interno del PdL e del centrodestra in generale. Sempre più spesso sento esponenti, blogger ed elettori usare parole, cliché e concetti decotti tipici della sinistra più becera, se non di Di Pietro.
Un male nero sta insinuandosi in queste menti, un male che viene da sinistra e si chiama ipocrisia. E molti post, in blog che stento a riconoscere dai rispettivi inizi, ne sono lampante esempio. Come questo. O, peggio, questo. Piccoli Guzzanti crescono.
Fanno finta di non aver capito che Fini non è colpevole di lesa maestà nei confronti di Berlusconi, lo è nei confronti dei suoi elettori. Ha tradito molte dei valori fondanti del centrodestra e lo ha fatto con un tempismo ed una pervicacia che suscitano ben più di un sospetto. Ed il fatto che si stia guadagnando pelosi consensi come quelli testé citati è la conferma – casomai ce ne fosse bisogno – che rappresenta un pericolo mortale non per Berlusconi (figuriamoci!), ma per l’Italia tutta. In questo momento il Paese non può permettersi una ricaduta nel caos della sinistra, né un indefinito periodo di ingovernabilità a causa di esecutivi “tecnici” o di “larghe intese”; ci sono forze in movimento che tramano per ottenere ciò, sappiamo tutti come si chiamano, dove si trovano e come operano. Il far finta di non vederle rende chi lo fa colpevole più di chiunque altro.
Lasciate alla sinistra le ideologie della sinistra. La cosiddetta “destra sociale” è un ossimoro, non esiste e non deve esistere. La giustizia sociale è un fine, una conseguenza: non è un mezzo. Chi è fuori da questi parametri è fuori dal governo, fuori dalla maggioranza, fuori dal Paese che voglio per i miei figli e che la maggioranza degli italiani ha scelto per i propri.
Fuori dai coglioni, per dirla con un linguaggio forse più comprensibile.

Rimbalzo?

Dopo il fondo del ridicolo toccato con la mediaticamente strombazzata deposizione in aula di Gaspare Spatuzza, parrebbe che anche alcuni appartenenti a quello schieramento (minoritario, ma molto rumoroso) che vorrebbe Berlusconi spazzato via per non dovercisi confrontare politicamente stiano rendendosene conto, e per la prima volta cominciano a porsi - pubblicamente - delle domande.
Ma non sarà che 'sti "pentiti" di mafia non sono altro che un'arma come un'altra in mano alla criminalità organizzata? Non sarà che la magistratura si ritrova imbrigliata nell'obbligatorietà dell'azione penale, costringendo un governo democraticamente eletto a difendersi da questi attacchi invece di pensare al bene del Paese? Non sarà che quindici anni sono un lasso di tempo assurdo per il protrarsi di indagini e processi, soprattutto se ciò rappresenta la norma?
Queste sono le domande - retoriche - che tutti noi che ci troviamo dalla parte giusta della barricata ci poniamo quotidianamente da tre lustri, ed alle quali invece che risposte otteniamo insulti ed accuse di servilismo acefalo. Ora, iniziano a porsele autorevoli (brutta parola, ma non me ne vengono in mente altre) esponenti dell'intellighenzia di sinistra come Sergio Romano, sul Corriere della Sera di oggi.
E' lecito sperare in un cambio di rotta, seppur tardivo? In una presa di coscienza, finalmente, della realtà dei fatti? In una nuova stagione di confronto politico, e non pseudo-giudiziario e mediatico? L'Italia è fragile, economicamente e socialmente: quanto ancora potrebbe sopportare il protrarsi di una guerra civile fredda?

mercoledì, dicembre 02, 2009

Fini deve dimettersi

Dopo la figura barbina rimediata ieri, grazie alle rivelazioni ad orologeria della solita Premiata Ditta "La Repubblica", Gianfranco Fini ha poco da sgolarsi che è "super partes", aggiungendo un "lei non sa chi sono io" a quanto già esternato: egli deve necessariamente dimettersi da Presidente della Camera dei Deputati, oltre che da parlamentare e da membro del PdL. In poche parole, la sua carriera politica è finita.
Infatti, come nota correttamente Gianni Pardo, chi considera un dittatore il Presidente del Consiglio dei ministri del governo del quale fa parte non può continuare a usufruirne mantenendo funzioni e privilegi senza esserne necessariamente complice. Vediamo, dunque, se il recente avvicinamento alle posizioni della sinistra pseudo-progressista ha già drenato la coerenza e l'onestà intellettuale dall'uomo. Vediamo se ha le palle per andare fino in fondo senza nascondersi dietro lo scranno della terza carica dello Stato. Vediamo se combatte il tiranno per il bene del Paese.
Si accettano scommesse.

martedì, dicembre 01, 2009

Caro Presidente, sei fuori


Beh, direi che dopo questo Gianfranco Fini è ufficialmente fuori dal PdL e dentro al mirino berlusconiano. In bocca al lupo.