martedì, maggio 19, 2009

La disintegrazione dell'identità

Bisogna fermarli. Presto. Prima che il danno sia irreparabile, prima di fare la fine dell'Inghilterra o dell'Olanda. Cominciamo da Nunzia Marciano, direttrice (ora tocca dire "dirigente scolastica", come "operatrice ecologica" per spazzina, "non-normodotata" per handicappata) della scuola elementare statale "Carlo Pisacane" di Roma. O meglio, di quella che rischia di essere la scuola elementare statale "牧口 常三郎" (si legge "Tsunesaburō Makiguchi") di Roma.

Perché l'insigne direttrice, già nota per aver obbligato i suoi scolaretti a fare un presepe con personaggi vestiti con cristianissimi burqa, per dirigere la scuola a più elevato tasso di stranieri in Italia (solo 8 alunni sono italiani) il cui problema starebbe - secondo lei - nell'emarginazione dei bimbi stranieri da parte di quelli italiani (sic!) e per aver fatto confezionare ai bambini cappellini di carta fatti con manifesti antisionisti, ora fa bingo e pretende di cambiare direttamente il nome alla scuola, intitolandola a un "famoso pedagogista giapponese". Che sarà pure famoso a casa sua e per i suoi tanti e tali meriti magari sarà pure degno di avere scuole intitolate in giro per il mondo; ma che si cambi in questo modo l'intitolazione di una scuola che è già icona della disintegrazione dell'identità e della cultura italiane è semplicemente inaccettabile.
Poveri bambini. Non basta che si debbano sorbire nei "progetti scientifici" colà propinati i sermoni di Alberto Alberti (pedagogo comunista che va discettando del dualismo tra Figaro e l'Omino di Burro); ora debbono pure mettersi a piangere se un amichetto gli chiede "a che scuola vai?", dato che non saranno mai in grado di pronunciare quel nome senza slogarsi la lingua.

**UPDATE del 21/05/2009**
Com'era ovvio, la direttrice fa marcia indietro e rinuncia all'insulto del cambio di intitolazione della "sua" scuola. Casca pure dal pero affermando che "non si aspettava tanto clamore". E l'insulto viene così girato agli italiani, che si agitano per un nonnulla. Tipico.

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