Il referendum che verrà celebrato il 21 giugno prossimo ha radici antiche: fu concepito e indetto durante il disastroso governo Prodi, sull'onda dell'ingovernabilità e delle critiche al cosiddetto "porcellum", la legge elettorale varata dall'ultimo esecutivo di centrodestra. Essa, tra le altre cose, prevede che il premio di maggioranza vada alla coalizione di liste che raccoglie più voti, su base nazionale per la Camera e regionale per il Senato. Inoltre, prevede un certo grado di libertà alle singole liste che possono decidere autonomamente se presentarsi sole o collegate in coalizione senza rischiare di perdere le alleanze strette, mettendo in gioco il solo premio di maggioranza in caso di corsa solitaria. L'obiettivo del "porcellum" è ambizioso: impedire la formazione di coalizioni posticce al solo scopo di vincere le elezioni e, contemporaneamente, garantire la governabilità.
Ma è proprio il premio di maggioranza ad essere il punto debole della legge, e lo è dopo che essa fu stravolta in dirittura d'arrivo da Carlo Azeglio Ciampi che pretese l'introduzione della ripartizione su base regionale per il Senato, invalidando così buona parte dell'impianto. La legge non si chiamava "porcellum" prima di questo evento, s'è guadagnata il dispregiativo solo dopo. Questo pochi lo sanno: Calderoli, l'estensore del provvedimento, non è un folle che prima presenta una legge ed il giorno dopo la chiama "porcata".
Il risultato fu la tragica legislatura 2006-2008, durante la quale proprio il Senato in bilico dimostrò l'enormità dell'errore commesso. In quel frangente nacque il referendum che, nelle intenzioni, dovrebbe mitigare il problema andando ad agire non sulla ripartizione del premio di maggioranza - che richiederebbe un confronto con la Costituzione - ma sulla sua assegnazione: non più alla coalizione di liste ma alla lista (chiamiamolo partito) prende più voti. Inoltre, chiede l'abolizione delle candidature multiple in modo da finirla con la pratica assurda dei candidati "di bandiera" che non potranno mai accettare l'eventuale incarico.
L'effetto sperato è l'eliminazione di fatto delle coalizioni e, di riflesso, lo scoraggiare la formazione di nuovi partitini; inoltre, si favorisce la fusione dei partiti in partiti più grandi, tendendo così al bipolarismo perfetto.
Il risultato delle politiche 2008 aveva di fatto reso inutile il referendum: nonostante le pessimistiche previsioni dei detrattori del "porcellum", la caduta di Prodi ha regalato all'Italia il governo più forte della sua storia ed un Parlamento per la prima volta epurato delle frange estreme. L'ignavia del Partito Democratico da una parte e l'assoluta contrarietà della Lega Nord dall'altra, poi, sembravano condannare la consultazione a morte certa.
Poi, vennero le Europee 2009, e tutto cambiò. La crisi economica combinata con una campagna elettorale sovietica hanno penalizzato più o meno pesantemente i due partiti maggiori, beneficiari del "voto utile" temerariamente chiamato in causa a suo tempo da Walter Veltroni: il risultato è che gli attori da due sono diventati già quattro: PdL, Lega Nord, Pd e Italia dei Valori. Il rischio è che il maggior peso ai due gregari determini un ritorno ai veti incrociati ed ai ricatti politici, inchiodando nuovamente governo ed opposizione a logiche lontanissime dagli interessi del Paese.
Per questo, oggi più che mai, è necessario votare e votare "SI" al referendum, per tutti i quesiti proposti. Berlusconi, prendendo atto della trasversalità delle opinioni in merito, ha lasciato carta bianca a ciascuno decidendo di non dare ordini di scuderia in merito; la stampa allineata ha ovviamente preferito, assieme agli stessi promotori della consultazione, tradurre la decisione del premier come un segno di subordine nei confronti di Bossi, ma tant'è.
La cosa importante è che ciascuno sia informato a dovere sui quesiti e sul loro perché: l'esercizio della democrazia diretta non è solo un diritto per tutti, è soprattutto un dovere per individui responsabili.
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