I tempi sono maturi, l'occasione è propizia, non bisognerebbe lasciarsela sfuggire. Queste elezioni regionali 2010 hanno un po' il sapore delle "mid term" americane, un giro di boa che se da un lato non determina un avvicendamento ai piani più alti del potere, dall'altro provoca un profondo rimpasto nelle stanze dei bottoni e - soprattutto - rappresenta un segnale importante che nessun governo degno di questo nome può né deve ignorare, sia che volga in suo favore che a suo discapito.
Sono ormai sedici anni (correva il lontano 1994) che, nel bene e nel male, l'Italia canta la musica di Silvio Berlusconi e della "rivoluzione liberale", sia quando egli sta al governo sia quando sta all'opposizione; e durante questi sedici anni, che poi coincidono con l'età della Seconda Repubblica, delle tanto osannate, decantate, invocate, desiderate riforme si è visto ben poco, ed il Paese affonda sempre più in una melma maleodorante di immobilismo e di contrapposizione fine a se stessa.
Scovare le responsabilità di ciò è presto fatto: a sinistra c'è l'ossessione di non aver metabolizzato né il proprio passato né l'esistenza di un'alternativa all'esercizio del proprio potere; a destra ci sono la pachidermicità di un impianto politico non altrettanto agile come il suo leader e, soprattutto, una strisciante pavidità nei confronti della lotta dura e pura. Sommando le due forze si ottiene lo zero assoluto, l'assenza totale di moto che è sotto gli occhi di tutti, nella quale proliferano rifiuti fascistoidi e rappresentativi del più becero sfascismo come l'Italia del Valori e le varie corazzate mediatiche contro-a-prescindere, tipo quella di De Benedetti e quella della Corte dei Miracoli santoro-travagliesca, che stanno inquinando un'intera generazione di giovani italiani privati dei necessari riferimenti forti.
Di riformare la giustizia italiana se ne parla da più di un decennio, tutti sono d'accordo (a parole), a destra come a sinistra, pur con le dovute distinzioni; eppure, di separazione di carriere, di meritocrazia, di ridefinizione del CSM e di riforma dei processi non c'è traccia a tutt'oggi, fatti salvi gli interventi-tampone dettati dalle contingenze e volti a salvaguardare la governabilità (anche se i detrattori li etichettano come "leggi ad personam" ad uso e consumo di Berlusconi, anche il pizzicarolo con la seconda elementare arriva a capire come stanno realmente le cose).
Di riformare seccamente il fisco pure se ne parla da eoni, ma vuoi perché c'è sempre qualche crisi, vuoi perché c'è qualche altra cosa più "urgente" da affrontare, i provvedimenti pur scritti da tempo immemore giacciono in polverosi cassetti in qualche remoto ufficio di Montecitorio.
Di massacrare l'elefantiaca macchina burocratica italiana, ad iniziare dall'eliminazione delle province, se ne parla dalle elementari, è quasi un proverbio; eppure il pur titanico lavoro affidato a (e svolto finora egregiamente da) Roberto Calderoli viene lasciato sotto traccia, ignorato da tutti i media e dal Governo stesso; l'unico che emerge, nonostante venga insultato ogni giorno per la sua statura, è Renato Brunetta che viene, però, lasciato sbranare dai "satiri" finto progressisti e di lui si ricorda solo la sciarpa sottotraccia. E quando si arriva al capitolo province, le mutande calano automaticamente di fronte ai protettorati locali che si mettono prevedibilmente di traverso, dentro e fuori la maggioranza.
Di liberare la RAI dal cappio della politica, poi, si ciancia dai tempi di Giulio Cesare ma altolà a toccare i milionari interessi di chi a Viale Mazzini sguazza come un pesce; che poi va a finire che Santoro va in onda per ordine di un giudice. Ed il Governo zitto e incassa (caso unico in Occidente), con l'unica voce fuori dal coro rappresentata dagli inascoltati "editti bulgari" di Berlusconi, che rimane da solo a prendersi le uova in faccia mentre - colmo dell'ironia - viene apostrofato come dittatore.
E così via discorrendo, è tutta una litania di "grandi opere" mai iniziate che copre vergognosamente la pur corposa schiera di provvedimenti adottati da uno dei governi più attivi che la storia repubblicana ricordi, ad iniziare proprio dalle Grandi Opere infrastrutturali per finire con le centinaia di piccole azioni che non è qui il momento di elencare (quello Berlusconi lo sa fare abbastanza bene di suo). Ecco perché è necessario che il Governo, Berlusconi, il PdL e la maggioranza tutta ricevano una batosta ben assestata in occasione di queste regionali: perché non sarà di certo l'addomesticamento della Conferenza Stato-Regioni a risolvere magicamente l'empasse e di conseguenza i governatorati sono da considerarsi un bene sacrificabile, la loro mancata conquista un effetto collaterale di un'azione invece necessaria e salubre.
Una "scossa" che, a differenza di quelle farlocche di D'Alema, sia un vero elettroshock diretto ai gangli nervosi di Berlusconi in persona e - soprattutto - dei maggiorenti del suo partito (del nostro, del mio). Che la piantino, i secondi, di mettersi di traverso mostrando nostalgia della Prima Repubblica e dei suoi intrallazzi maleodoranti; che si svegli, il primo, prendendo d'autorità in mano le redini del governo e del Paese, cacciando a furia di sonori calci in culo i campioni dei "secondi Fini" che si annidano e tramano in ogni angolo, passando come uno schiacciasassi sopra un'opposizione inesistente, forcaiola, sbandata, berciante ed inconcludente (in una parola: pericolosa), individuando - anche a sinistra - quelle persone chiave in grado di servire il Paese e portandosele in casa (anche pagandole, se necessario!, i soldi non gli mancano di certo; tanto lo indagano lo stesso anche se non lo fa).
Perché il rischio concreto è che se il PdL dovesse risultare il vincitore assoluto di queste regionali (ma anche no, basta che galleggi sulla bambagia di quattro regioni "conquistate") è che nei tre anni che ci separano dalle Politiche 2013 si continui a navigare a basso cabotaggio come oggi, tra inchieste fasulle e leggine tappa-buchi, mentre la crisi economica morde al suo meglio e la politica si sfascia definitivamente in un continuo urlo di violenza.
Berlusconi prenda esempio da quanto accaduto a Sarkozy, che sono certo farà tesoro della batosta ricevuta: quel che è capitato a lui è successo a fronte di premesse e sviluppi estremamente simili a quelli che viviamo in Italia (mancate riforme, scandali gossipari, sfavillante decisionismo poi annacquatosi in mille piccoli compromessi). Si muova! Perché non c'è, al momento, nessun altro in grado di fare quanto è necessario a questo Paese; con buona pace di chi vorrebbe il Cavaliere già sottoterra e già pensa alla "successione" con l'interessato, più vivo e vegeto che mai, a scorticarsi di scongiuri. La pianti di farsi dare impunemente del "dittatore" mentre nessuno se lo fila, di urlare - pur sacrosantamente - ogni giorno contro la magistratura deviata e telecomandata senza far nulla per eradicarla una volta per tutte: così l'unico risultato che otterrà è di essere abbandonato, perfino da chi non ha alternative (cioè, da tutti); di trasformarsi in un rumore di fondo cui in definitiva ci si abitua, distraendosi.
Che imprima una svolta netta ad una Seconda Repubblica nata deforme dal parto violento e golpista di Mani Pulite e mai completamente uscita dallo stadio larvale: che sommerga una volta per tutte, con la forza della politica vera, tutti quei soggetti che esistono al solo scopo di mantenere strumentalmente l'Italia in questo stato comatoso. Con le inutili ed anacronistiche sinistre estreme e "verdi" il compito è riuscito, fermarsi a metà sarebbe un gravissimo errore.
Che dimostri di esser vivo anche politicamente, che tiri fuori le palle con i fatti oltre che con le parole. Ora o mai più.
E se come incentivo dovesse essere necessario lasciare alla sinistra qualche Regione e fare una figuraccia colossale, ben venga. Sopravviveremmo all'immediato e, sicuramente, ne guadagneremmo in futuro.