Il mea culpa dei media
Quattro articoli dal Corriere della Sera. Quattro posizioni tra loro diverse, ma che convergono su un unico punto: una più o meno - a seconda dei casi - velata ammissione di responsabilità nei confronti del Paese, a nome dell'intero apparato mediatico, italiano e straniero.
Con sfumature diverse, certo. Angelo Panebianco, ad esempio, pone più l'accento sul totale successo mediatico e politico (e personale) di Berlusconi, l'uomo dato per spacciato che - una volta di più, l'ennesima - dimostra tutta la sua inesauribile forza proprio quando nessuno scommetterebbe più dieci centesimi su di lui. Nel suo editoriale - che, leggendone le righe, potrebbe essere archiviato tranquillamente sotto i tag interesse nazionale, Berlusconi, Italia, concretezza, scommessa vinta, convergenze e orgoglio - Panebianco non giustifica certo il sistema: i mesi di attacchi concentrici e coordinati provenienti dalle opposizioni politiche, dai mass media e dai potentati economici ed imprenditoriali nemici non possono passare sotto silenzio; anche se, a battaglia terminata, risuonano come l'adagio "molti nemici molto onore" andando a rendere se possibile più eclatante la vittoria berlusconiana.
Vittoria che non sminuisce la portata delle sfide che si aprono già da oggi, e che segneranno i tempi a venire: all'estero, la scomparsa del concetto stesso di G8 che è stato celebrato nella forma attuale per l'ultima volta e che, estendendosi a nuove potenze, segnerà un inevitabile declino dell'influenza dei singoli stati europei, Italia compresa; internamente, la ripresa dell'inevitabile scontro politico che si preannuncia asprissimo, con un Berlusconi carico all'inverosimile e forte di una legittimazione senza precedenti, e le opposizioni sempre più schiacciate contro il muro e, per questo, sempre più livorose ed aggressive.
Situazione descritta anche dall'articolo di Massimo Franco, che entra nel dettaglio degli avvenimenti da un'altra ottica ed osserva come Berlusconi abbia goduto, nei tre giorni di vertice, della "copertura" di una tregua d'armi pervenutagli dall'intero sistema politico italiano (con l'unica eccezione di Di Pietro che ha reagito come una bestia ferita e messa all'angolo, avendone peraltro ben d'onde).
Tregua, però, che oltre ad essere arrivata troppo, troppo in ritardo è destinata anche a reggere ben poco: tanto che egli legge nelle parole riservate all'opposizione da Berlusconi durante la conferenza stampa di chiusura del G8 una sorta di attacco preventivo, un assaggio di cosa i suoi avversari possono aspettarsi ora che la vetrina internazionale si è chiusa e che è pronto a regolare i conti in casa propria. Soprattutto ora che ha l'occasione - a ragione - di mettere in un unico fascio la sputtanata stampa estera ed interna con l'opposizione politica che - è difficile dimenticarlo - fino alla mattina del monito di Napolitano non ha risparmiato alcun tipo di colpo basso al Governo, a Berlusconi personalmente e all'intero Paese.
Diverso è l'approccio di Gian Antonio Stella che, pur riconoscendo a piene mani la vittoria del Cavaliere, ritiene che egli avrebbe dovuto essere ancora più sobrio di quanto non sia stato, e che avrebbe dovuto risparmiarsi alcune frecciate indirizzate alla stampa e all'opposizione durante la già citata conferenza stampa. In particolare, a Stella pare non essere andata giù l'esortazione «vi consiglio di leggere meno giornali» che, assieme a quel «se cambiamo opposizione», ha rappresentato l'unico vero - seppur micidiale - sassetto che il premier si è tolto dalle scarpe nei tre giorni di vertice.
Vale comunque la pena di riportare un passaggio dell'articolo di Stella:
«Meglio di così forse non poteva andare. E non c’è italiano che, per come si era messa nelle settimane scorse, non debba oggi sentirsi sollevato. Di più: fiero della prova di orgoglio e professionalità fornita, tutti insieme, all’Aquila. E questo al di là di ogni opinione: come disse anni fa Giuliano Amato denunciando i rischi di esporre il nostro Paese ai ceffoni internazionali in nome della polemica politica intestina anti-berlusconiana, "guai se cominciano a trattarci come un materasso su cui saltare, perché in quel materasso ci siamo anche noi". Tutti.»
Da la cifra del sentimento che serpeggia nella stampa, sentimento che definire da "day after" è dir poco.
Ma le ammissioni di responsabilità più nette vengono da un post di Fabio Cavalera in uno dei blog del Corriere, post intitolato con un inequivocabile "Noi perdenti". Anche se sbaglia clamorosamente bersaglio finale, l'autore coglie il punto quando scrive senza mezzi termini che chi esce con le ossa rotte da tutta questa storia sono proprio loro: i giornalisti, italiani e stranieri. Poi si lancia in un'invettiva contro i suoi colleghi accreditati presso il G8 - soprattutto quelli stranieri - che, a suo parere, hanno peccato di codardia dal momento che non hanno incalzato Berlusconi sulle famose "domande" di Repubblica, e qui dimostra di far pienamente parte di quella categoria da egli stesso aspramente biasimata.
Quello che il signor Cavalera deve comprendere è che la stampa estera non vive in Italia. Anche se è fortemente orientata al pregiudizio (anche razziale) e alla critica feroce nei nostri confronti, non è possibile pretendere da un foglio estero la piena e puntuale comprensione dei meccanismi e degli eventi interni al nostro paese. Di conseguenza essi, rispetto alla cronaca politica italiana, brillano - per così dire - di luce riflessa, utilizzando pesantemente ciò che viene pubblicato dalla stampa nazionale; in piccola parte, poi, anche quanto i loro inviati in Italia riescono a carpire in prima persona, ma sappiamo benissimo che questi sono generalmente giornalisti alquanto scarsi, l'Italia non è un paese così interessante in fondo.
Stando così le cose, i media esteri hanno dimostrato come sanno essere cani sull'osso quando sentono odore di scoop (e se c'è da parlar male degli italiani la cosa è ancor più appetitosa); ma anche quanto, nella maggioranza dei casi, sanno anche tirarsi indietro non appena si rendono conto di essere stati ingannati. E l'inganno ordito dai quotidiani e dai periodici del Gruppo L'Espresso e dai loro supporter, per nostra fortuna, è stato svelato proprio nei giorni subito precedenti il vertice, quando era diventato così smaccato da non poter più essere nascosto.
Nessuna sopresa, dunque, se i giornalisti stranieri (soprattutto quelli inglesi) hanno tenuto un profilo basso, ed anzi hanno iniziato oggi a fare palese retromarcia: esporre loro stessi ed i propri giornali ad una figuraccia più grave di quella che avevano già subito, per di più nel momento in cui i loro padroni finivano sbugiardati di fronte al mondo intero per lo scandalo delle intercettazioni illegali del gruppo di Murdoch, non solo era un rischio troppo elevato, era praticamente un suicidio. E non tutti hanno gli stessi istinti masochisti di alcuni pennivendoli e direttori nostrani, evidentemente.
2 commenti:
Occhio, il superlativo di "aspro" è "asperrimo"
Vero, ma non è stringente. "Asprissimo" e "Asperrimo" sono utilizzati in contesti spesso diversi, pur essendo la seconda una forma di fatto mai utilizzata nella lingua corrente. La prima si preferisce in contesti "fisici", la seconda "morali".
Comunque, tutti i superlativi in -errimo sono difficilmente reperibili negli scritti contemporanei: alzi la mano chi ha mai trovato 'pigerrimo' o 'teterrimo'.
Peraltro, alcuni di essi sono sopravvissuti al linguaggio comune, come 'integerrimo', 'celeberrimo', 'miserrimo'.
Grazie comunque per la puntualizzazione, ma preferisco tenere 'asprissimo'.
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